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Data: 18/02/2012
Testata giornalistica: Il Centro
Politica e giustizia - Di Pietro fa il nome di Tancredi al pm. Teramo, gli arrestati: è il nostro commercialista. Il socio di Chiodi sentito come teste

TERAMO. Al pm hanno fatto il nome del loro commercialista Carmine Tancredi, socio di studio del presidente della Regione Gianni Chiodi ed ex assessore comunale a Teramo. «Ci siamo affidati a lui per gestire i nostri risparmi...»: così due dei quattro imprenditori teramani arrestati a gennaio per la bancarotta da tre milioni hanno detto al pubblico ministero Irene Scordamaglia nel corso di un interrogatorio durato quattro ore e chiesto proprio dai due indagati.
Dopo l’interrogatorio l’inchiesta potrebbe allargarsi, anche se la procura è ancora in attesa degli esiti della rogatoria internazionale avviata con la Svizzera per fare chiarezza su un complesso giro di somme e società portate all’estero. A gennaio sono finiti in carcere i fratelli Maurizio e Nicolino Di Pietro, di 51 e 64 anni, e Guido Curti, 50 anni, e all’obbligo di dimora Loredana Cacciatore, 47 anni, moglie di Curti. Tutti sono accusati di bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale.
IL COMMERCIALISTA SENTITO COME TESTE. Tancredi, che è il commercialista di fiducia di Maurizio Di Pietro e Curti, non è indagato. Nei mesi scorsi, proprio nell’ambito delle indagini, la Finanza ha perquisito il suo studio alla ricerca di documenti. E, sempre nell’ambito delle indagini, Tancredi a giugno è stato sentito a sommarie informazioni come teste. Dell’interrogatorio scrive il gip Marina Tommolini a pagina 17 dell’ordinanza di custodia cautelare degli imprenditori. «Per l’esportazione all’estero», scrive il gip, «fondamentali apparivano le dichiarazioni rese da Carmine Tancredi (s.i. del 6.6.2011: il Curti e Di Pietro Maurizio volevano costituire società in Italia attraverso società estere che non fossero riconducibili a loro)».
IL FACCENDIERE SVIZZERO E L’APPARTAMENTO. Arresti domiciliari per Nicolino Di Pietro: è questo il primo risultato concreto dell’interrogatorio di lunedì mattina nel corso del quale i due indagati sono stati assistiti dal loro avvocato Cataldo Mariano. . Maurizio Di Pietro e Curti ne hanno escluso ogni coinvolgimento nella vicenda delle società estere, facendo riferimento ad altre persone e facendo altri nomi. Tra questi quello di un emissario di una società svizzera che trattava la sistemazione di conti all’estero. Di Pietro ha parlato di un appartamento intestato a lui ma che non sarebbe stato pagato da lui, bensì da un’altra persona. Ora il difensore attende ulteriori sviluppi investigativi prima di presentare al gip una nuova istanza per la scarcerazione dei suoi assistiti. Nel frattempo per lunedì è atteso il pronunciamento del tribunale del Riesame.
LE SOCIETA’ E I SOLDI TRASFERITI ALL’ESTERO. I quattro imprenditori teramani sono stati arrestati al termine di una complessa e articolata indagine che ha permesso di scoprire un sistema finalizzato a svuotare società dei loro beni per poi portarle al fallimento.
Una sorta di triangolazione societaria nel campo dell’edilizia e delle società immobiliari che passava per Cipro (Paese a fiscalità privilegiata) e finiva su alcuni conti svizzeri. Qui, molto probabilmente, approdavano i proventi della vendita dei beni delle 4 società dichiarate successivamente fallite: per gli investigatori circa tre milioni. L’indagine della Finanza è partita da una verifica fiscale sulla società Dft Grafiche di Teramo, operante nel settore dell’edilizia stradale e del movimento terra. Le Fiamme Gialle hanno scoperto collegamenti con altre società dichiarate fallite e riconducibili sempre agli stessi amministratori. Investigatori e inquirenti hanno scoperto tra gli amministratori di fatto delle società fallite e società immobiliari costituite nel Teramano ma di proprietà di società con sede a Cipro, uno dei paradisi fiscali più gettonati.
E’ emersa una maxi truffa messa in piedi ai danni di Erario, banche, società di leasing e decine di imprenditori: cioè i creditori delle società svuotate dei loro beni e poi dichiarate fallite. Secondo la procura il denaro sottratto alla cosiddetta massa fallimentare (i beni della società fallita) veniva depositato su conti svizzeri intestati agli stessi indagati per poi confluire su conti delle società cipriote anche attraverso un passaggio su istituti bancari inglesi.

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