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Pescara, 19/04/2024
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Data: 04/06/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Verso le nuove pensioni - Pensioni, così quota 100: 64 anni e tetto di spesa. I canali di uscita saranno due. Quindi 64 più 36 di contributi, ma non 63+37. L'altro canale sarà quello esclusivamente contributivo: 41 anni di contribuzione a prescindere dall'età. Effetto pensionati-baby: 400 mila assegni pagati da oltre 38 anni

ROMA L'allargamento delle maglie della legge Fornero ci sarà, ma nelle intenzioni del nuovo governo pentastellato non dovrebbe essere devastante per i conti pubblici. Il capitolo previdenza è uno di quelli che nel contratto per il cambiamento è stato già quantificato con la previsione di un incremento di spesa massimo pari a cinque miliardi l'anno. L'intervento principale consiste nel parziale ripristino della pensione di anzianità, abolita con la riforma del 2011 e sostituita da un trattamento anticipato con vincoli molto più rigidi.
I CANALI
I canali di uscita saranno due. Il primo, la cosiddetta quota 100, richiederà che l'interessato abbia maturato contemporaneamente un requisito di età e uno di contribuzione, il cui totale in anni deve appunto dare 100. Ma proprio per limitare le uscite è previsto un requisito minimo di età a 64 anni. Quindi 64 più 36 di contributi, ma non 63+37: eventualmente potrebbe essere prevista anche la possibilità di lasciare con 65+35, considerando che 35 anni di contribuzione è il limite minimo sempre richiesto anche per la pensione di anzianità ante-Fornero. Ma tutto dipenderà dalle verifiche sui numeri, perché comunque il tetto di cinque miliardi non potrà essere superato. In fondo questo schema replica con requisiti più esigenti quello di quota 97 che doveva essere il punto di arrivo del precedente regime (mai scattato): in quel caso l'età minima era fissata a 61 anni. Per una limitata platea di lavoratori però - quelli interessati dall'Ape sociale - l'asticella a 64 potrebbe risultare penalizzante perché il paracadute predisposto dal governo Gentiloni prevede la possibilità di usufruire dell'assegno-ponte anche a 63 anni e con 30 di contributi nel caso di disoccupazione o invalidità. L'Ape sociale è in vigore in via sperimentale fino a tutto il 2018 e l'attuale governo non ha manifestato l'intenzione di prorogarlo; dal 2019 potrebbe quindi scattare la nuova pensione di anzianità.
L'altro canale sarà quello esclusivamente contributivo: 41 anni di contribuzione a prescindere dall'età. In realtà potrebbe essere aggiunto qualche mese per recuperare i passati incrementi legati all'aumento dell'aspettativa di vita.
IL PROGRAMMA
Del programma di governo fa parte anche il ripescaggio della cosiddetta opzione donna, che è stata in vigore dal 2004 al 2015, con una piccola proroga. Prevedeva per le lavoratrici la possibilità di lasciare il lavoro con almeno 57 anni e sette mesi di età (uno in più per le autonome) e 35 anni di contributi. Il contrappeso di questo regime decisamente favorevole è l'importo della pensione, ridotto del 20-30 per cento a causa del calcolo contributivo (anziché retributivo) sull'intero ammontare.
Infine l'altro progetto a cui lavora la maggioranza giallo-verde riguarda non chi deve ancora lasciare il lavoro ma i pensionati: quelli che percepiscono meno di 780 euro al mese potrebbero vedere il proprio trattamento elevato fino a questa soglia, con una sorta di pensione di cittadinanza. Si tratta però di un progetto potenzialmente molto costoso, che dovrà attingere a risorse diverse dai 5 miliardi l'anno prenotati per la correzione della legge Fornero.

Effetto pensionati-baby: 400 mila assegni pagati da oltre 38 anni

ROMA In pensione da una vita. Sono 406 mila gli italiani che incassano un assegno da almeno 38 anni. Lavoratori che, soprattutto tra gli anni 70 e '80, hanno sfruttato leggi a maglie larghissime che nella Pa consentivano, ad esempio, di andare a riposo a 30 anni con soli quattordici anni, sei mesi e un giorno di contribuzione, se donne con figli. Casi limite, certo. Ma non così infrequenti. E prodotti in particolare dalla norma introdotta dal governo Rumor nel 1973 (e abolita vent'anni dopo) che permetteva uscite dal lavoro con 20 anni di contributi. O anche meno, appunto, per alcune categorie di lavoratici dello Stato. Il problema è che questi meccanismi antichi scaricano i loro effetti sui conti dell'Inps. Tanto più che quei trattamenti vengono tuttora calcolati con il conveniente calcolo retributivo.
Di fatto quasi mezzo milione di persone vive in pensione per circa il doppio del tempo passato al lavoro e quindi riceve l'assegno per quaranta anni avendone lavorati solo 20. In pratica per le persone che possono contare su questi assegni il bilancio è largamente positivo con trattamenti che, grazie alla lunga durata, possono superare di tre volte i contributi versati.
I NUMERI
Nel dettaglio, le pensioni private antecedenti il 1980 sono 355.335 mentre i trattamenti pubblici sono 51.607. Sono invece oltre 1,7 milioni gli assegni che durano da oltre 30 anni (quindi liquidati dal 1988 o prima). Il calcolo include naturalmente solo le pensioni di vecchiaia, anzianità e superstiti mentre sono escluse le invalidità e gli assegni sociali. L'età alla decorrenza delle pensioni liquidate prima del 1980 per la gestione dei dipendenti pubblici era di 49 anni per la vecchiaia e di 45,7 per i trattamenti di anzianità contributiva. Per i superstiti da assicurato era di 41,1 anni mentre per i superstiti da pensionato era di 45 anni. Naturalmente la cifra media risente del fatto che sono passati moltissimi anni e quindi le persone rimanenti con pensioni così antiche sono quelle che sono andate a riposo prima e dopo 38 anni sono ancora in vita. Per i pensionati del settore privato l'età è un po' più alta per i trattamenti di vecchiaia (compresa l'anzianità) con 54,5 anni, mentre è più bassa per i superstiti con appena 40,2 anni. Se per le pensioni del settore privato l'importo medio degli assegni liquidati prima del 1980 è largamente inferiore a mille euro al mese (818 euro mensili i trattamenti di vecchiaia, 529 euro quelli ai superstiti) per le pensioni del settore pubblico l'importo medio supera i 1.650 euro mensili per i trattamenti di vecchiaia e i 1.466 euro per quelli di anzianità.

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