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Data: 14/02/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Referendum anti-trivelle la data rischia di slittare. Voto previsto il 17 aprile, ma la Consulta dovrà esprimersi su due nuovi conflitti. Ricorsi di sei regioni. Se a marzo la Corte li accoglie,“rivivono” due quesiti bocciati.

ROMA Una data virtuale. Rischia di non essere il 17 aprile il giorno in cui gli italiani saranno chiamati al voto sul referendum anti-trivelle. E non già (o non solo) per il pressing di Comitati, ambientalisti, M5S affinché il Capo dello Stato Mattarella non firmi il provvedimento con la data scelta dal governo Renzi. Lo slittamento potrebbe rendersi necessario a seguito dell’ultima carta calata da sei Consigli Regionali che hanno presentato alla Corte Costituzionale due conflitti di attribuzione su altrettanti quesiti esclusi dalla Cassazione, lo scorso gennaio. Ebbene, l’ammissibilità dei due conflitti sarà decisa dalla Consulta il prossimo 5 marzo. Nel merito il 9 aprile, nel caso di un via libera preliminare. E se mai la Corte Costituzionale dovesse dar ragione a Basilicata, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, allora il voto del 17 aprile sarebbe destinato a slittare. Per un semplice motivo: gli altri due referendum, uno sul piano delle aree e l’altro sul titolo unico di sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi, tornerebbero a ”vivere”. E con essi anche i 45 giorni di campagna referendaria che, per forza di cose, farebbero bypassare la domenica di aprile prescelta da Renzi.
LO SCOGLIO
Lo scoglio referendario, così pericolosamente vicino alle amministrative, il premier ha cercato di evitarlo in tutti i modi. Cinque dei sei quesiti il governo era riuscito a disinnescarli con la legge di Stabilità, mettendo mano alle norme sulle trivelle contenute nel decreto Sviluppo e nello Sblocca Italia. Il sesto, però, era stato ”salvato” prima dall’ufficio centrale per i referendum della Cassazione e poi dalla Consulta. La domanda su cui gli italiani saranno chiamati alle urne è la seguente: volete voi che si possa estrarre petrolio fino all’esaurimento dei pozzi autorizzati che si trovano in mare, entro dodici miglia dalla costa, oppure i permessi convessi allo scadere dei 30 anni decadono? Esclusa la volontà di un’altra modifica legislativa, al governo non è rimasta altra chance che evitare l’election day: sarebbe una scelta suicida nel raggiungimento del quorum. La data del 17 aprile è stata deliberata la settimana scorsa, durante l’ultimo consiglio dei ministri, con l’inevitabile coda polemica di coloro che stimano in circa 300 milioni di euro lo spreco di risorse per il mancato accorpamento con le amministrative di giugno.
Nel frattempo, però, sei delle nove Regioni che il mese scorso, a palazzo della Consulta, aveva reclamato l’ammissibilità di tutti e sei i referendum, sono tornate alla carica. Il prossimo 5 marzo la Corte deciderà in via preliminare sui due conflitti sollevati. Resta da vedere se nei prossimi giorni il Colle firmerà il decreto con la data del voto indicata dal governo, vale a dire il 17 aprile, o se attenderà la Consulta.
I CONFLITTI
Stelio Mangiameli, l’avvocato che sin dall’inzio ha assistito le Regioni nella battaglia anti-trivelle, ha promosso un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato che vede da un lato il Comitato promotore dei referendum e dall’altro Cassazione, Camera e Senato (che hanno votato le modifiche alle norme sulle estrazioni petrolifere contenute nella legge Stabilità), Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tutti, in diverso modo, avrebbero contribuito a «ledere» l’iniziativa referendaria dei consigli referendari: nel ricorso si lamenta «un eccesso di potere legislativo», visto che sono state approvate norme «volte non a evitare il referendum bensì ad eluderlo». In particolare, il secondo quesito sul ”piano delle aree” aveva come obiettivo, «per un verso che le attività di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi già autorizzate continuassero ad essere autorizzate e, per altro verso, che fino all’adozione del piano non potessero essere rilasciati nuovi titoli». Invece - è scritto nel ricorso - «la richiesta referendaria è stata elusa» in quanto la legge di Stabilità ha previsto la cancellazione dell’esistenza del piano delle aree solo per far cadere «l’oggetto della domanda referendaria» ma così «facendo venire meno ogni forma di programmazione e di razionalizzazione dell’azione pubblica nella materia degli idrocarburi». Stesse argomentazioni anche per il terzo quesito sul titolo unico di sfruttamento, con l’unica differenza che in questo caso le Regioni hanno sollevato conflitto di attribuzione unicamente contro la Cassazione.

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