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Data: 20/01/2016
Testata giornalistica: Il Tempo
Buco da 23 milioni, vertici Atac nei guai. La Corte dei conti: ha affittato e in contemporanea subaffittato i suoi stessi mezzi

Non sono bruscolini i 23 milioni di euro che l’Atac si è potuta permettere di mandare in fumo per affittare e contemporaneamente riprendere in subaffitto i suoi stessi mezzi. Per ripagare il danno causato alle casse di Roma Capitale con questa operazione di finanza «creativa», la procura della Corte dei conti del Lazio ha emesso un invito a dedurre (equivalente a un avviso di garanzia nel penale) nei confronti dell’allora presidente dell’azienda di trasporto pubblico, Mauro Calamante, e ai quattro membri del cda, tra cui Lorenzo Tagliavanti, attuale presidente della Camera di Commercio di Roma. È questa una delle inchieste contabili che rischiano di essere censurate per sempre se dovesse passare il progetto di riforma sulle società a partecipazione pubblica che oggi andrà all’approvazione del Consiglio dei ministri. La riforma partorita dal governo Renzi, infatti, prevede che la giurisdizione sulle società «in house» come l’Atac, non spetti più alla Corte dei conti, ma al giudice ordinario.

Tra il 23 dicembre 2003 e il 7 gennaio 2004 Atac (che oggi ha un debito di 429 milioni di euro) ha perfezionato un'operazione finanziaria denominata U.S. Cross Border Lease. In pratica, l’azienda ha accettato di dare in locazione agli investitori statunitensi, fino al 2056, 36 tram e 94 convogli della metro B, percependo in cambio 555.658.729 dollari. Entrata dalla porta, questa somma è subito uscita dalla finestra. Infatti, immediatamente dopo, il Trust ha concesso in sublocazione ad Atac, fino al 2029, gli stessi 36 tram e 94 convogli a fronte del pagamento anticipato dei canoni di sublocazione, per un totale di 538.784.484 dollari. Alla fine della fiera, l’azienda ha costituito un momentaneo profitto pari a 16.904.245 dollari, corrispondenti a 13.500.476 euro. A metterla così, sembrerebbe un affare, in realtà l’Atac, firmando quei contratti, si è assunta anche una serie di rischi finanziari: tra cui l’obbligo di fornire garanzie in caso di peggioramento del livello di rating di Atac e/o di Roma Capitale e di sostituire le banche finanziatrici se il loro rating si fosse ridotto al di sotto di AA. La catastrofe è arrivata quando nel 2008 si è verificato il declassamento dell’istituto assicurativo americano Aig e della banca europea Dexia, che avevano fornito garanzie su parte dell’operazione. Così, quei 13 milioni e mezzo di profitto si sono ben presto disintegrati dalle notevoli perdite accumulate dal 2003 al 2011, anno in cui Atac ha deciso di estinguere anticipatamente l’intera operazione, con una prima tranche nel 2011 e una seconda nel 2012, portando le perdite totali a circa 23 milioni. La «superficialità nella gestione dell’operazione», ha portato la Procura contabile a incolpare, alla chiusura di questa prima fase d’indagine, i membri del cda di Atac che hanno dato il via libera all’operazione poi risultata fallimentare: Tagliavanti, Gian Marco Innocenti, Ercole Turchi, Marco Gelmini e il presidente Calamante

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