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Data: 06/12/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Allarme decreto Dignità, a gennaio salta il rinnovo di oltre 53 mila contratti

ROMA Il decreto dignità mette a rischio oltre 53 mila precari. Assolavoro lancia l'allarme sugli effetti distorsivi della riforma voluta dal governo per correggere il Jobs Act introdotto dal centro-sinistra nella scorsa legislatura. Palazzo Chigi, con l'obiettivo dichiarato di limitare l'abuso dei contratti a termine, ha ridotto a 24 mesi il limite massimo per un impiego a tempo determinato. Ma così facendo, dal 1° gennaio 2019 migliaia di persone non potranno essere riavviate al lavoro dalle Agenzie per il Lavoro proprio per raggiunti limiti. Una circolare del ministero del Lavoro del 31 ottobre scorso, ha denunciato Assolavoro, considera infatti compresi nelle nuove misure anche i lavoratori con contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Dignità.
I DETTAGLI
Perché è vero che nella fase di transizione le disposizioni si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato nuovi, ovvero sottoscritti dopo l'entrata in vigore della legge, ma la nuova disciplina si applica anche in caso di rinnovo a tempo determinato di contratti in corso alla data di entrata in vigore del decreto. Un bel pasticcio, censurato con fermezza da Assolavoro, che ha sottolineato la necessità di «correggere il tiro» a tutela dei lavoratori. Il caso ha ovviamente offerto alle opposizioni l'occasione per polemizzare contro il governo Conte. «Con questa legge voluta da Di Maio da gennaio ci saranno 53 mila posti di lavoro in meno, mentre con il Jobs Act ci sono stati oltre un milione di posti di lavoro in più in 4 anni», ha polemizzato l'ex premier Matteo Renzi, che a suo tempo fu l'ispiratore della riforma. Una riforma, occorre ricordarlo, fortemente depotenziata, tanto che dopo i primi 12 mesi acausali, si potrà rinnovare il contratto per un massimo di altri 12 mesi, ma con l'obbligo di indicare la causale. Non solo: il numero delle proroghe possibili nei contratti a termine diminuisce da 5 a 4, i contratti rinnovati avranno un costo contributivo dello 0,5% in più rispetto all'1,4% già previsto per i contratti a tempo determinato e il contratto a termine potrà essere impugnato entro 180 giorni (in precedenza il limite era di 120 giorni). Un'ulteriore sponda, seppur indiretta, alla tesi secondo la quale il decreto dignità frenerebbe il mercato del lavoro, è arrivata anche da Federmeccanica.
Secondo una indagine, il 30% delle imprese dell'industria metalmeccanica (che impiega circa 900 mila lavoratori, di cui il 2% a termine) non rinnoverà, alla data di scadenza, i contratti a tempo determinato in essere, il 37% intende trasformarli in contratti a tempo indeterminato mentre un altro 33% si riserva di decidere, valutando la situazione alla scadenza. Insomma, molte aziende navigano nell'incertezza su cosa fare ma una su tre ha già deciso di mandare a casa i dipendenti precari. Il direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, ha spiegato che l'associazione «monitorerà il trend, anche in relazione alla decisione delle imprese che non si sono pronunciate ma che per avere una occupazione stabile serve una crescita stabile». E questa ha sottolineato Franchi, «dipende dalla competitività delle imprese che si basa, tra l'altro, su costo del lavoro e sostegno a investimenti, istruzione e formazione». Il dg di Federmeccanica ha rilevato inoltre che «le norme non creano occupazione, possono agevolare o meno un percorso di assunzione. Noi riteniamo che la flessibilità possa agevolare. Una flessibilità ha sottolineato ancora il dirigente che non significa precarietà visto che nel nostro settore il 40% dei contratti a tempo indeterminato sono trasformazioni di contratti flessibili e il 98% dei contratti sono a tempo indeterminato».

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