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Data: 05/01/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Se il rimedio allo smog è la pioggia benedetta...

E’arrivata la pioggia, arriva la neve! L’inizio dell’anno è all’insegna di una delega disarmata e quasi patetica alla saggezza della natura, a cui auguriamo Buon Anno Nuovo anche se non siamo per niente in grado di rispettarla. Le metropoli, e non solo, sono oppresse dallo smog. Nelle maggiori città italiane, il tasso di inquinamento è stato al di sopra dei livelli massimi di accettazione. Si attua il blocco del traffico, ma nessuno sa se ciò può essere efficace. La vaghezza e lo scarso rigore con cui si cerca di rispondere agli stessi mali che abbiamo creato suonano ironici in una società che ha fatto dell’esattezza e della precisione un vanto. E’ paradossale, ma la verità è che non abbiamo fatto grandi passi avanti dal tempo in cui i famosi Indiani d’America facevano le danze propiziatrici per la pioggia. Dobbiamo oggi constatare che la loro magia non era meno potente dei nostri strumenti tecnologici, visto che anche noi, occidentali razionali e scientifici, leghiamo tutte le nostre speranze alla natura, che pure offendiamo in continuazione. Gli Indiani d’America temevano la siccità, noi subiamo l’inquinamento che abbiamo irrazionalmente creato. Lo scrittore di thriller Michael Connelly nei suoi gialli avvincenti, dove il protagonista è quasi sempre un detective che si chiama Harry Bosch, le storia si svolgono in una Los Angeles tanto realistica quanto inquinata. Lo smog non solo è permanente in quella città infinita e tentacolare, è parte integrante di un panorama che spinge l’osservatore ad essere attratto perversamente da uno scenario grigio e sporco. Non è che nel nostro paese siamo poi così lontani da Los Angeles o da Pechino. In fin dei conti l’umanità sta realizzando fino alla follia un’idea che si fece strada e si affermò con la modernità, quella secondo cui Dio avrebbe dato agli uomini la Terra e la Natura perché potessero fungere da serbatoio inesauribile per i bisogni degli uomini. L’economista William Petty, nel XVII secolo, sosteneva che lo sporco delle città era una buona cosa, perché segnalava le attività industriali e lavorative. A quel tempo affermazioni del genere potevano costituire una rottura e uno sguardo in avanti. Diventava possibile concepire il corpo umano come una macchina che, proprio per questo, era riparabile. Di conseguenza la vita poteva essere prolungata. Inoltre la natura poteva essere trasformata in modo sempre più complesso. L’organizzazione sociale, la divisione del lavoro e la produzione industriale fecero sì che il padre dell’economia politica Adam Smith, nel XVIII secolo, avendo constatato come le vita e l’attività degli Indiani fosse assai più varia e assai meno noiosa di quelle dell’operaio europeo, si domandasse cosa poteva mai rendere preferibile il mondo occidentale. La risposta fu: la grande abbondanza di beni che esso è in grado di produrre e di distribuire. Ma oggi? E’ chiaro che la vita in Occidente si è prolungata ed è evidente che i beni sono sempre più abbondanti. Eppure le morti a causa dell’inquinamento sono incalcolabili (nel senso letterale del termine), ma sono sempre di più, all’abbondanza dei beni corrisponde l’indigenza e la povertà, all’aumento delle auto fa da contrappunto la quasi impossibilità di circolare nelle città, che sono sempre più in preda a un ineliminabile smog. Situazione paradossale dunque. Sogniamo tutti qualche giorno (sempre di meno) di vacanza in un posto favoloso e finiamo con il vivere la gran parte dell’anno tra lo smog, la violenza, il traffico, l’ansia e l’angoscia e la pausa-pranzo. E tutto questo lo chiamiamo stress.

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