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Data: 20/03/2019
Testata giornalistica: Rassegna.it
Salario minimo vs contratti: parte il confronto tra governo e sindacati

Incontro a Roma sulla proposta del Movimento 5 stelle di introdurre una paga oraria stabilita per legge. Per Cgil, Cisl e Uil la misura "potrebbe favorire la fuoriuscita dai ccnl, rivelandosi uno strumento per abbassare retribuzioni e tutele"

Il Movimento 5 stelle accelera, vuole approvarlo in prima lettura entro la fine di aprile. Il disegno di legge sul salario minimo è divenuto il nuovo cavallo di battaglia del vicepremier Di Maio, che sta spingendo affinché il Parlamento lo esamini al più presto. Il ddl 658 (proposto dalla senatrice Nunzia Catalfo) stabilisce una paga oraria minima di 9 euro al lordo degli oneri contributivi e previdenziali: il trattamento economico sarebbe di volta in volta adeguato nel tempo, e verrebbe applicato a tutti i contratti di lavoro subordinato e parasubordinato, comprese le collaborazioni coordinate e continuative (sul tema va anche segnato il ddl 310, proposto dal senatore Mauro Laus del Pd: la paga minima è sempre di 9 euro, ma al netto degli oneri). Una proposta che, fin dal primo annuncio, ha incontrato forti perplessità da parte di sindacati e imprese, che semmai intendono rafforzare ed estendere il ruolo della contrattazione. Ma il governo va avanti, e per oggi (mercoledì 20 marzo) ha convocato Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Usb e Cisal a Roma, alle ore 15 presso la sede del ministero del Lavoro, proprio per spiegare le proprie intenzioni.

“Non siamo contrari come concetto ma, visto che tra l'80 e il 90 per cento dei lavoratori italiani è coperto dai contratti nazionali, noi proponiamo di rendere quei contratti ‘erga omnes’, che valgano cioè per tutti”. Per il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, insomma, basterebbe recepire gli accordi interconfederali: “In questo modo, oltre al salario, anche altri aspetti come le ferie diventerebbero per legge i minimi sotto cui non si può andare, minimi non fatti dal Parlamento, ma dalla contrattazione tra le parti”. L’esponente sindacale pone anche in evidenza che “se il Parlamento stabilisce un salario che prescinde dalla contrattazione, e che può essere persino più basso dei limiti contrattuali, questa diventa una norma di legge che contrasta la contrattazione collettiva”. La Cgil, invece, si muove nell’ottica del rafforzamento della contrattazione: “In questa chiave abbiamo anche chiesto di misurare la rappresentanza dei sindacati, così che gli accordi abbiano validità generale. Eravamo d'accordo tutti, sindacati e confederazioni. Il governo doveva fare la convenzione con l'Inps per accedere ai dati che certificassero gli iscritti al sindacato e i contratti applicati dalle aziende. Ma l'esecutivo ha bloccato tutto. E poi viene a raccontare che ci sono privilegi e non c'è rappresentanza”.

I sindacati, si diceva all’inizio, non vedono con favore l’introduzione di una legge sul salario minimo. E hanno avuto occasione di esprimere tutte le proprie perplessità nell’audizione in Commissione Lavoro al Senato che si è tenuto il 12 marzo scorso. “Una norma di legge che si proponga di fissare un salario minimo orario legale per tutti i lavoratori dipendenti deve innanzitutto stabilire il valore legale dei trattamenti economici complessivi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro”, si legge nella memoria consegnata ai parlamentari. Il motivo di questa preoccupazione è chiaro: l’introduzione del salario minimo “potrebbe favorire una fuoriuscita dall’applicazione dei contratti, rivelandosi così uno strumento per abbassare salari e tutele dei lavoratori. Un rischio che si fa maggiormente concreto stante la diffusa struttura di piccole e medie imprese presenti nel tessuto economico italiano”. Insomma: un numero elevato di aziende potrebbe cogliere quest’occasione per disapplicare il contratto di riferimento e adottare il salario minimo, rimanendo in questo modo perfettamente in un ambito di legalità. Ciò comporterebbe per i sindacati confederali “un fortissimo disincentivo al rinnovo di alcuni contratti nazionali relativi a settori ad alta intensità lavorativa, a basso valore aggiunto e a forte compressione dei costi”.

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