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Pescara, 19/12/2025
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Data: 01/11/2012
Testata giornalistica: Il Messaggero
Abruzzo a due province, ora è realtà. L’Aquila-Teramo e Pescara-Chieti ufficiali. Si comincia a gennaio. La rabbia degli sconfitti: «Hanno vinto solo il primo round»

PESCARA - E’ un pezzo di storia quello che finisce nel decreto legge che riorganizza le Province di tutta Italia. Come anticipato, per l’Abruzzo si declina nell’assetto a due province: L’Aquila-Teramo e Pescara-Chieti con L’Aquila e Pescara nuove città capoluogo. E’ l’assetto deliberato dal Cal all’inizio del mese che il consiglio regionale aveva provato a scolorire con una decisione «che non decideva»: l’abolizione di tutti e quattro gli enti. Un pezzo di storia, quindi. Ci sono almeno duemila dipendenti pubblici che dovranno cambiare sede e posto di lavoro, una geografia immobiliare e logistica pubblica (più quella dei trasporti) tutta da ridisegnare e l’orgoglio ferito dei territori di Teramo e Chieti. Ogni criticità nasconde potenzialità evidentissime con annesse possibilità di risparmio e miglioramento dei servizi. Il percorso sarà lungo e il passaggio delicato soprattutto in caso di emergenze: per ora tutto inizia con la pioggia di reazioni del mondo politico abruzzese in cui la rabbia di Teramo e Chieti dilaga e, c’è da giurarci, come sempre in Italia, minaccia di spostarsi sui tavoli della giustizia. Per l’Abruzzo della politica, in particolare, questa decisione concorre a creare l’ipotesi un cocktail elettorale di rara e tremenda intensità per l’anno prossimo: si voterà per le Politiche, per le Regionali e per le Provinciali. Insomma, allacciate le cinture.
Qualche data per iniziare: dal primo gennaio decadono le giunte provinciali degli enti accorpati, a novembre 2013 si vota, dal 2014 si parte con il nuovo assetto. Il plotone degli scontenti inizia del presidente della Provincia di Teramo Valter Catarra che parla di «confusione pazzesca, in puro stile governo Monti». Con lui il sindaco Brucchi: «E’ grave che il Governo abbia deciso senza tener conto delle volontà dei territori» è stato il primo commento del sindaco Maurizio Brucchi. E adesso? «Mi aspetto che la Regione faccia quello che aveva annunciato e presenti ricorso contro il provvedimento alla Corte Costituzionale. La mia battaglia di certo non finisce qui. Dall’Aquila a Roma andremo avanti».
Anche a Chieti c’è aria pesantissima: «Chieti subisce la più grande ingiustizia - spiega il presidente della Provincia Di Giuseppantonio - perchè è l'unica Provincia che aveva i requisiti fissati dal governo per confermarsi tale, requisiti che di fatto sono stati cancellati quando si è trattato di decidere i nuovi assetti. Mi auguro che a questo punto sia il Parlamento a fare giustizia». Minaccia battaglia anche il senatore Pdl Fabrizio Di Stefano: «Ritengo fin troppo frettolosa la volontà del Governo, c’è la discussione dei ricorsi presentati da numerose regioni e province sin dalla settimana prossima. Nel passaggio di conversione a questo punto cercherò, raccordandomi non solo con i colleghi abruzzesi, ma anche di altre Regioni, di fare fronte comune, affinchè possa essere modificato, salvaguardando quelle province che hanno i requisiti per restare tali». Amaro anche il sindaco di Chieti, Di Primio: «Abbiamo perso il primo round adesso la battaglia si sposta in Parlamento. Credo di aver fatto tutto il possibile per la mia Provincia, mettendoci sempre la faccia».
Molto duro, per altri motivi invece Camillo D’Alessandro: «Una risata da Roma ha sepolto la buffonata votata dal Consilgio regionale. Una non decisone tipica di un non Presidente è durata una decina di giorni. Ora Brucchi e Chiodi, che hanno ingannato, in particolare i teramani e poi tutti gli abruzzesi, si dimettano e vadano a casa».

Via anche prefetture e uffici territoriali
Nelle amministrazioni collegate oltre 5 mila i dipendenti in sovrannumero

ROMA La riduzione delle Province è solo la punta dell’iceberg di una nuova e feroce cura dimagrante per la burocrazia italiana. Il valore aggiunto del taglio delle Province, infatti, non sta tanto nella pulizia etnica di un intero segmento della classe politica composto da 4 mila consiglieri, quanto nella parallela riduzione delle Prefetture e nell’accorpamento di una parte degli uffici territoriali di 20 amministrazioni dello Stato (Agenzie fiscali, polizie, Corpo forestale dello Stato, Soprintendenze, ex Provveditorati agli studi e chi più ne ha più ne metta).
Che cosa questo significa in concreto? Due cose. La prima: dal 2014 inizieranno a sparire fisicamente le seggiole di un sacco di alti papaveri della burocrazia a partire da prefetti, questori e direttori provinciali. Secondo: diminuiranno anche posti pubblici di seconda e terza fila. Già perché le 51 Prefetture superstiti avranno il compito di far nascere altrettanti Ugt (Uffici generali sul territorio). Attenzione, però. Non saranno accorpate in un unico sito tutte le Direzioni provinciali di tutte le amministrazioni. Il tentativo è stato fatto dal primo governo di centro sinistra alla fine degli anni Novanta e fu respinto con perdite irrimediabili per il governo centrale dell’epoca.
E allora questa volta il governo Monti punta a d unificare le salmerie, ovvero gli uffici di staff. In concreto alcuni servizi come il calcolo delle buste paga, il pagamento degli acquisti minuti, la definizione dei contratti d’affitto delle sedi e così via, saranno affidati all’Ugt liberando le venti amministrazioni statali di tutto ciò che non è legato strettamente alla loro missione.
Quanti posti pubblici «doppione» salteranno? Parecchie migliaia. Un paio d’anni fa è stato fatto un esperimento di Ugt articolato su sei province del Centronord, comprese un paio di grosso peso. Il risultato è stato che nel giro di pochi mesi sono emersi 310 posti in sovrannumero.
Non è difficile fare un’equazione da scuola media: se su 6 Province gli esuberi sono circa 300 sulle 107 totali i dipendenti pubblici in sovrannumero potrebbero superare da bella quota di 5.500.
L’allarme è già diffuso ai livelli dell’alta burocrazia. E infatti il ministero degli Interni è ricorso ad un escamotage per evitare la rivolta dei suoi dirigenti: pur ribadendo che le Prefetture saranno ridotte sulla base del nuovo disegno territoriale, il Viminale ha deciso di lasciare alcuni Presìdi - si chiamano proprio così - nelle Province abolite dove dovesse ritenere che la presenza di un prefetto resti necessaria.
Sia come sia, a meno di ammorbidimenti all’italiana sempre possibili, per i burocrati italiani in carriera il messaggio è chiaro: sarà molto più difficile conquistare i galloni (e lo stipendio) di direttore provinciale.

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