Bagarre per la frase di Passera, poi la doppia astensione sulla fiducia Oggi Alfano al Colle. Monito di Napolitano: «Non mandiamo tutto a picco»
«Fate rullare i tamburi di guerra». Berlusconi accompagna la decisione di tornare sulla scena con l'ordine di far saltare le prime mine. Il secondo tempo del vertice convocato a Palazzo Grazioli ieri ha dettato la linea con il mandato ai parlamentari di far ballare l'esecutivo fino all'approvazione della legge di stabilità. Dopo, tutto può succedere. L'incertezza dei giorni scorsi diventa la mossa per mettere in mora il governo e piazzare un piede fuori dalla maggioranza. Fuori da Palazzo Grazioli uno sparuto numero di fans dai capelli grigi tiene uno striscione che recita «Silvio, l'Italia crede in te», mentre dall'interno il Cavaliere convince i fedelissimi. Dopo l'annuncio «che in tanti aspettavano, chiedendogli di tornare al timone della nave» notabili e peones si precipitano a rilasciare dichiarazioni di giubilo. Ieri mattina qualcuno li ha contati: sono circa una settantina, tutti pronti a fare atto di fede, anche se fino a due gironi fa erano ultras delle primarie. Il primo della lunga lista è il segretario Alfano che dopo settimane di melina ieri, davanti a decine di telecamere, ha dovuto ammettere che ora si azzera tutto «perché Silvio è il detentore del titolo» e dunque sarà lui a partecipare alla sfida per Palazzo Chigi. I motivi del cambio di rotta repentino sulle sorti della maggioranza, Alfano li spiegherà questa mattina al Quirinale durante l'incontro fissato con il presidente della Repubblica. Ieri, tuttavia davanti ai cronisti, mentre era in corso il voto di fiducia alla Camera, ha dato alcuni spunti cercando prima di tutto di allontanare i sospetti che assegnavano alla legge delega sull'incandidabilità varata dall'esecutivo, uno dei motivi che ha fatto precipitare gli eventi. «Quella legge ha in origine il mio nome come primo firmatario - dice irritato il segretario del Pdl aggiungendo che Berlusconi è estraneo a quella vicenda anche perché – sarà sicuramente assolto». «Stiamo mandando dei segnali senza fare precipitare gli eventi», spiega l'erede spodestato, indicando che il disagio riguarda altri provvedimenti del Governo in materia di giustizia: dalle norme sulle intercettazioni fino alla responsabilità civile dei magistrati. C'è poi il capitolo economia, anche se a dire il vero il decreto sviluppo approvato ieri dal Senato, sul quale gli azzurri hanno fatto scattare l'astensione, non aveva registrato grandi dissensi nella sua fase istruttoria in commissione. Ragioni che, infatti, non hanno convinto i tre senatori che con Beppe Pisanu hanno votato la fiducia. Uno di loro, Franco Orsi però, si pente subito e si precipita a dichiarare il suo «assoluto allineamento al presidente Gasparri». La musica non cambia alla Camera nel pomeriggio ma stavolta tra chi non si allinea alla chiamata alle armi di Berlusconi ci sono nomi pesanti come Franco Frattini, Guido Crosetto, Giuliano Cazzola, Alfredo Mantovano e Giorgia Meloni, anche se in tanti alla fine non partecipano. Le astensioni raggiungono quota 140 e a conti fatti al Pdl mancano una cinquantina di voti. Il dissenso riguarda tutti quelli che giudicano un errore il ritorno di Berlusconi, già spaventati dal tifo della Lega. «Forza Cav e forza Alfano, tirino fuori gli attributi e facciano cadere Monti», incita il segretario Maroni che, ottenuto il via libera alla candidatura in solitario in Lombardia, potrebbe siglare se non una rinnovata alleanza, un patto di non belligeranza per le elezioni politiche anticipate. Ma la ridiscesa in campo del Capo divide il partito anche alla base che si fa sentire sulla rete nello «spazio azzurro» ospitato nel sito ufficiale. Tanti sono quelli che esultano ma tanti sono anche i delusi che ritengono sbagliato mandare a casa il governo dopo i numerosi sacrifici fatti per rimettere in ordine i conti del Paese.