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Pescara, 19/12/2025
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Data: 07/12/2012
Testata giornalistica: Il Messaggero
E tra gli azzurri si scatena la corsa al caro Silvio. «Ho tutti contro come nel ’94 cancellerie e magistrati». Il Cavaliere tra voglia di riscossa e timori per attacchi dall’estero

ROMA Caspita quanto è affollata la zattera di Silvio. Non lo avevano scaricato tutti? Che fine hanno fatto quelli che nel Pdl organizzavano cene, eleganti o meno, per dire uffa e organizzare le magnifiche sorti della politica senza il Cavaliere? E quelli che in questi mesi hanno gridato primarie-primarie-primarie? Ieri tra Senato e Camera si è avuto il risultato finale delle primarie che non si sono fatte: e ha stravinto Berlusconi. Dalle 10 del mattino in poi, si sono precipitati in 70, uno dopo l’altro e uno più dell’altro ma nessuno ha superato l’ardore poetico di Micaela Biancofiore («Il ritorno di Berlusconi? Fiat lux»), nel dichiarare la letizia più sincera e la gaiezza più pura perchè il Cavaliere è risalito a cavallo. Anche chi aveva fatto il frondista adesso non lo è più e figura insieme agli altri nella lista dei magnifici 70 che va dalla A di Alicata e Azzolini alla V di Vitali, passando per tutte le altre lettere dell’alfabeto: la G di Gelmini («Berlusconi è l’unico che può battere l’asse Bersani-Grillo»), la M di Milanese e di Marinello (quest’ultimo significa Alfano di cui è fedelissimo), la F di Fazzone il capobastone della zona di Fondi di cui fu chiesto il commissariamento per mafia, la P di Alfonso Papa che non sta più a Poggioreale e via così.
Nella maionese impazzita del berlusconismo che rivede il sol dell’avvenire c’è anche la sofferenza di un Guido Crosetto il quale ieri ad Omnibus è stato protagonista di questa scena. «E’ il momento delle scelte, non posso stare in tivvù, devo andare via»: e il gigante buono ha lasciato lo studio di La7.
Ma vabbè, avanti con il napoletano Laboccetta: «Bersani ha festeggiato troppo presto». O, da Casal di Principe, con Nicola Cosentino, detto Nick ’o ’mericano, che ha messo sul suo sito una foto in cui abbraccia Berlusconi e infatti: «Il ritorno di Berlusconi ci riempie di rinnovato entusiasmo». Per chi non ci credeva più, c’è Sandro Bondi che può ridare la verginità. Il poeta del vecchio e del nuovo corso del Presidente, da che era quasi dimenticato da tutti è improvvisamente ridiventato ieri mattina star corteggiata da tanti colleghi senatori e chiave d’accesso al cuore del gran capo (il quale decide chi riavrà la candidatura e chi no). Anche la fidanzata di Sandrone, la deputata Manuela Repetti è incontenibile nel suo sommo gaudio: «Ora che c’è di nuovo Lui si può andare subito a votare». Fuori dal Parlamento, nella Regione Lazio crollata dopo le gesta di Fiorito e degli altri, ecco Veronica Cappellaro - che spese migliaia di euro pubblici per farsi fotografare sul suo sito web e tanti soldi del gruppo Pdl per cene e cenone nei ristoranti romani - la quale esulta per la revanche: «L’Italia ha bisogno di Berlusconi, leader incontrastato dei moderati italiani».
A un altro livello, naturalmente, il presidente del Senato, Renato Schifani, autore a suo tempo di una celebre paginata sul Foglio nella quale si ragionava del dopo Berlusconi, annuncia: «È un sacrosanto diritto di Berlusconi quello di scendere in campo. È stato legittimato due volte da milioni di italiani». Le amazzoni non hanno mai abbandonato Silvio forever e una di loro, Nunzia Di Girolamo, si gode lo spettacolo: «Ohibò, si sono tutti riberlusconizzati. Come mai?». Ma uno, ieri, rischiava di non venire ammesso sulla zattera della Medusa: il senatore Orsi. Non gli avevano detto che la linea era cambiata e lui vota a favore e non contro il governo. Poi si cosparge il capo di cenere e dirama un comunicato: «Mi scuso, è stato solo un equivoco, contro la mia volontà». Verrà graziato o Berlusconi, come Briatore nella trasmissione The Apprentice, gli dirà: «Tu sei fuori»?

«Ho tutti contro come nel ’94 cancellerie e magistrati». Il Cavaliere tra voglia di riscossa e timori per attacchi dall’estero. Maroni tra i pochi informati della svolta
«Qualche inevitabile traditore ci sarà»

Sarebbe la sensazione di «essere assediato» insieme alla voglia di sovvertire tutti pronostici e smentire anche coloro che continuano a pregarlo di non candidarsi premier, ma di lasciare ad Alfano, o ad altri, l’ingrato compito di portare a casa una più che probabile sconfitta. Berlusconi non ci sente, anche se teme gli attacchi delle principali cancellerie straniere, dei mercati e il ritorno dell’offensiva giudiziaria. Quando mercoledì sera a cena l’avvocato Ghedini gli spiega che nelle maglie dei reati previsti nel dl sull’incandidabilità cadono tutti i processi a suo carico, svaniscono dubbi e prudenze sull’opportunità di aprire una crisi di governo. Anche perché Berlusconi sostiene di aver avuto assicurazioni da palazzo Chigi che l’argomento sarebbe stato modulato in maniera diversa. Non a caso l’argomento liste pulite era saltato lo scorso Consiglio dei ministri e probabilmente non solo per la lunga discussione sull’Ilva. Ieri c’è stata invece l’accelerazione e quello che qualcuno nel Pdl definisce «il giallo» dell’ordine del giorno del Consiglio dei ministri che, a lettere cubitali, parlava di «esame preliminare». In questo modo, sostengono i suoi, i sospetti di Berlusconi sono divenuti certezza e motivo per mostrare al governo, agli elettori e al «mondo intero» che «il Pdl lo controllo io». Un «colpo di coda» o un predellino in solitaria, maturato pochi minuti dopo aver metabolizzato l’ira per come giornali, agenzie e tv stavano raccontando il summit di mercoledì pomeriggio a palazzo Grazioli.
La nota scritta a cena da Berlusconi insieme ad Alfano, Letta e Ghedini in cui sostiene che il Paese invoca una sua candidatura, ha sorpreso quanti poche ore prima avevano tentato di mettere la sordina nell’ennesimo affollato vertice del Pdl. Vertici che ormai il Cavaliere convoca per capire cosa i colonnelli vogliono che faccia, salvo poi andare nella direzione esattamente opposta.
Ancor più sorpresi sono stati ieri gli esponenti di partiti e movimenti che dovrebbero comporre la galassia del nuovo centrodestra e che Berlusconi ha chiamato ieri mattina per informarli dello strappo con il governo Monti. Ovviamente il più felice è stato il leader della Lega Roberto Maroni, ma all’accortezza riservata agli alleati non ha fatto riscontro altrettanta considerazione per i capigruppo di Camera e Senato che hanno tratto dalle agenzie di stampa le indicazioni su come votare in aula. Allo sconcerto iniziale è seguita una sorta di strana eccitazione con il centralino di palazzo Grazioli impazzito per le telefonate di richiesta di chiarimenti.
Ora Berlusconi attende di conoscere le mosse del capo dello Stato da Alfano, Cicchitto e Gasparri che stamane saliranno sul Colle per sapere se il Pdl dovrà esprimere in aula un voto contro, o a Monti verrà riservato lo stesso trattamento fatto a Berlusconi. Ovvero dimissioni senza sfiducia. Da ieri sera in via dell’Umiltà è stato rispolverato il pallottoliere, ma Berlusconi è convinto che «a parte qualche traditore», in aula non ci sono i numeri né alla Camera né al Senato per tentare di metter su un altro governo o un Monti-bis. Il rapporto con la Lega sembra rinsaldato e gli permette di impostare una campagna elettorale tutta basata sulla radicale critica delle misure economiche imposte dall’Europa e che l’attuale esecutivo avrebbe «passivamente avallato».

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