Sei anni di reclusione a testa con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. È, secondo il Pm Gennaro Varone, la giusta condanna per l’ex sindaco di Pescara, Luciano D'Alfonso, e al suo dirigente ed ex braccio destro, Guido Dezio. Per D’Alfonso c’è anche la richiesta di confisca della villa Di Lettomanoppello, ritenuta il frutto di corruzione e posta sotto sequestro all’inizio delle indagini. Le richieste della pubblica accusa al termine della lunga requisitoria del processo Housework. L’entità della condanna ricalca le conclusioni del processo Ciclone all’ex sindaco di Montesilvano Enzo Cantagallo. Sarà uno degli argomenti di cui parlerà l’avvocato Milia, difensore di entrambi gli ex sindaci, nel corso della imminente arringa per Cantagallo. Ma la richiesta di condanne riguarda tutti gli imputati, compresi i due colossi dell’imprenditoria, Carlo e Alfonso Toto (2 anni e mezzo ciascuno). E poi c’è la pattuglia di imprenditori, funzionari, consulenti, che secondo il pm hanno contribuito al sistema D'Alfonso. Quest'ultimo ha assistito imperturbabile, senza lasciar trapelare la minima emozione, alla quantificazione delle pene e non ha voluto rilasciare dichiarazioni: ha lasciato intendere che risponderanno i difensori in aula.
IL DOMINUS
«Dezio è l’autore materiale e D’Alfonso è il dominus di queste vicende processuali», ha tuonato Varone. «Una serie di funzionari comunali commettono gravi irregolarità senza avere un interesse personale: solo il sindaco ce l'aveva. Ma quando uno di loro si trovava in quel posto, doveva adempiere ad un mandato. La presenza del sindaco - aggiunge - aleggia sempre sulla commissione dei reati di questo processo». E torna subito dopo a ribadire lo stesso concetto con più forza. «Tutti hanno compiuto gravi anomalie negli appalti più importanti del Comune. Possiamo immaginare che ognuno di loro abbia agito in maniera autonoma? E' evidente che alcune richieste sono sicuramente provenienti dal sindaco». «Per queste irregolarità - dice ancora il Pm - c’è una matrice: tutto ruota attorno alla figura di D'Alfonso. Le irregolarità sono commesse a seconda del posto che si occupa nella mente del sindaco. Così va letta l'associazione per delinquere: chiunque veniva a far parte di quella squadra...».
L’ASSE CON DEZIO
E per rafforzare il binomio D'Alfonso-Dezio l'accusa cita una frase che D'Alfonso disse all'ingegnere comunale Di Mattia: «Quello che ti chiede Dezio è come se te lo chiedessi io».
LA CORRUZIONE
Il Pm si sofferma poi sulla corruzione, spiegando che ce ne sono di due tipi. «Quella che ci interessa è un accordo corruttivo permanente. Gli appalti delll’area di risulta, dei cimiteri, di Cardinale, non possono essere letti isolatamente perché si tratta di un unico accordo. Dazioni di denaro ogni volta che ce n'è l'esigenza. Nella vicenda Toto e De Cesaris (i due appalti appena citati ndr) - aggiunge il pubblico ministero Varone - c'è un accordo permanente molto simile ad un patto associativo: sono momenti di un unico accordo dentro un programma preciso anche se si riferiscono a D'Alfonso con Toto o a D’Alfonso con De Cesaris. E’ un programma criminoso duraturo nel tempo: un accordo complesso nell’ambito del quale si poteva dare e chiedere».
«Tutti colpevoli» per i Toto due anni e mezzo
Imprenditori, dirigenti ecco i partecipanti all’«accordo corruttivo»
Le richieste di condanna avanzate dal pm nel processo sul Comune di Pescara toccano tutti gli imputati finiti davanti al collegio del tribunale. Su tutti, come detto, l’ex sindaco D'Alfonso e Dezio che rispondono di tutto ad eccezione di un peculato. È la coppia di ferro dell’associazione mentre gli altri sono figure anche importanti, ma sottoposte. «Funzionari e dirigenti - dice il Pm - venivano designati in base ad uno strettissimo rapporto fiduciario, primo fra tutti quello di Dezio. D’Alfonso esercita uno strettissimo controllo sui suoi collaboratori che molto difficilmente avrebbero potuto mettere in discussione il volere del sindaco».
E anche in questo senso vanno lette le richieste di condanne, molto più contenute per gli altri imputati proprio perché quasi esecutori di un programma che aveva in D'Alfonso il suo dominus. Il più gravato di questa seconda fascia è Giampiero Leombroni per il quale è stata chiesta la condanna a 3 anni.
GLI IMPRENDITORI
Poi c'è un gruppo di imprenditori per i quali sono stati chiesti 2 anni e mezzo di reclusione: Carlo e Alfonso Toto, padre e figlio; Masssimo e Angelo De Cesaris; Alberto La Rocca. Per Rosario Cardinale (che realizzò la villa di D'Alfonso) 2 anni. Subito dopo c’è un altro gruppetto la cui pena è stata fissata ad un anno e mezzo e del quale fanno parte: Giacomo Costantini, Nicola Di Mascio, Pietro Colanzi, Enzo Perilli. Un anno e sei mesi anche per Fabrizio Paolini. Due anni la condanna chiesta per i due consulenti dell'appalto sui cimiteri, Marco Mariani e Francesco Ferragina e stessa pena per l'ex direttore generale del Comune, Antonio Dandolo. Un anno e 8 mesi per l'ex dirigente Vincezo Cirone; un anno e mezzo per Luciano Di Biase; un anno a testa per Pierpaolo Pescara e Marco Molisani, stessa pena per l'ex portavoce di D'Alfonso, Marco Presutti. Soltanto 2 mesi per Giampiero Finizio.
L’AREA DI RISULTA
Il Pm Varone si è poi soffermato sull’appalto dell’area di risulta parlando degli imputati Dandolo e Pescara coinvolti in questo episodio, ricordando che «tutti i documenti del bando nascondevano il vero oggetto della gara che non erano i 600 parcheggi: era il numero degli accessi, era quello che contava da punto di vista economico. E si capisce soltanto leggendo l'allegato 3 del piano economico e finanziario. La gara più importante viene trattata in questo modo» ha concluso a riguardo l'accusa.