MILANO L’accoglienza leghista al Cavaliere non è delle migliori: «La sua presenza in prima fila ci riporta ai tempi del Bunga Bunga» è il bentornato che gli riserva Matteo Salvini, segretario della Lega Lombarda. Per non parlare dei padani della base tornati a perorare la causa della corsa solitaria: «Meglio perdere da soli che perdere con Berlusconi». Ostilità che si taglia col coltello, ma che non nasconde i tormenti di un partito nuovamente alle prese con scelte laceranti.
Bobo Maroni si fa vedere in serata a Torino, presenta un suo libro e di quello vorrebbe parlare. Ma deve fare i conti col Cavaliere che ha lasciato intendere, domenica, di aver quasi in mano l’accordo col Carroccio. Vero o falso? Il segretario leghista prende tempo: «Io Berlusconi non l’ho visto e di alleanze parleremo lunedì prossimo al consiglio federale». Quasi a voler far intendere che non ci sono baratti, la Lega deciderà secondo coscienza.
In realtà Maroni vorrebbe decidere secondo convenienza: «A noi interessa il governo della Lombardia» dice. C’è il problema, però, che per vincere le regionali l’appoggio del Pdl sarebbe assai utile, forse indispensabile. E allora prima di sbattere in faccia la porta a Silvio, come vorrebbe qualcuno, meglio contare fino a dieci, intrecciare contatti coi berluscones, e lasciare spiragli aperti. Infatti: «Tutto quello che sarà utile per arrivare a conquistare la Lombardia sarà messo in campo».
La condizione posta dalla Lega al Cavaliere è una sola: Maroni deve essere il candidato presidente. Nella sede di via Bellerio assicurano che «Silvio non avrebbe nessun problema ad appoggiare Bobo, ma deve vincere qualche resistenza nel partito». Omettono di aggiungere, a microfoni accesi, che pure Maroni ha più di qualche resistenza da combattere nella Lega poiché non c’è unanimità intorno all’idea che il Pirellone (sede della regione lombarda) valga una messa, cioè un ritorno ad Arcore e un’alleanza anche per le politiche.
Luca Zaia, che è governatore del Veneto ma soprattutto uno che muove molte truppe nel Carroccio, giudica l’accordo con Berlusconi una strada impervia: «E fino a prova contraria» provoca «la Lega va da sola alle prossime elezioni politiche». Franco Manzato, un altro veneto che conta (è assessore regionale), parla addirittura di coerenza e pragmatismo che «ci impediscono di concederci a fasulle cordate partitiche. Dobbiamo andare al voto da soli».
Dicono che fra i padani giri un sondaggio secondo cui un nuovo patto con Berlusconi farebbe perdere al partito metà dei (pochi) voti che gli sono rimasti. Parecchie telefonate a Radio Padania confermano la tendenza. Del resto, la prolungata alleanza con Arcore già frantumato il partito una volta: «E’ il caso di replicare?». Nel dubbio, alcuni cominciano a piantare paletti. Matteo Salvini: «Faremo accordi solo con chi sottoscriverà il programma di tenere in Lombardia il 75 per cento delle tasse».
Inevitabile, dunque, che Maroni sia in imbarazzo. L’ambizione di prendere il posto di Formigoni lo spinge nelle braccia del Cavaliere, il timore di lacerare il partito lo frena. E allora prova a incrociare le dita: «Non sono così sicuro che alla fine Berlusconi si candiderà». Più che una previsione pare un auspicio: «Il Pdl dovrebbe seguire l'esempio della Lega e rinnovarsi. Noi abbiamo rinnovato l'offerta politica e investito sui giovani, il Pdl dovrebbe fare lo stesso». Come a dire che senza Silvio di mezzo sarebbe tutto più facile.