La produzione degli ultimi quattro mesi resterà imballata sulla banchina dell’area portuale dell’Ilva. Forse, dovrà essere smaltita. 1.700 tonnellate di acciaio, pronte per essere messe sul mercato per il valore di un miliardo di euro, non verranno caricate su alcuna nave, non avranno nessun acquirente. A casa da subito altri 1.400 operai e il rischio è che si arrivi a quota 4.000. Ieri il gip di Taranto Patrizia Todisco ha respinto, come già aveva fatto la procura, l’istanza presentata dai vertici dell’azienda che chiedevano di tornare in possesso dei prodotti finiti e semilavorati sequestrati il 26 novembre scorso. I legali si basavano sul decreto legge varato il 3 dicembre scorso (il decreto Salva Taranto), ma per il gip e prima ancora per la procura «il decreto non ha effetto retroattivo. L’attività con la relativa produzione avvenuta prima dell’emanazione del decreto non è soggetta alle regole ivi contenute». Scrivono ancora i magistrati: «Il divieto di retroattività della legge è fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento». La notizia della decisione del gip è rimbalzata in tutti gli stabilimenti Ilva: da Taranto a Genova, da Marghera a Torino, da Napoli a Milano. Gli operai hanno indetto assemblee mentre arrivava la nota stilata dai vertici dell’azienda. «Drammatiche le conseguenze che tale decisione comporta per i livelli occupazionali e per la situazione economica. Mancando la disponibilità dei prodotti finiti e semilavorati verrà interrotta la lavorazione verticalizzata a Taranto e negli altri stabilmenti Ilva e sarà necessario ricostruire da zero un nuovo parco di prodotti lavorati e semilavorati». Un terremoto. La mancanza di materie prime provocherà un effetto-domino. «Si fermeranno a catena – continua la nota – anche gli impianti Ilva di Novi Ligure, Genova Racconigi e Salerno, ma anche di Salonicco e di Tunisi». Investiti gli impianti marittimi di Marghera e Genova. Tutto fermo. «Ciò comporterà – proseguono dall’Ilva – in attesa di ricostituire la scorta minima per la ripresa dei processi produttivi, una ricaduta occupazionale che coinvolgerà un totale di circa 2500 addetti. Le ripercussioni maggiori si avranno a Genova e Novi Ligure dove nell’arco di pochi giorni saranno coinvolte circa mille persone su Genova e 500 a Novi Ligure». E così la minaccia si allunga su un totale di circa 4mila addetti. Ora è una corsa contro il tempo. L’azienda presenterà ricorso al Tribunale del Riesame, mentre il Consiglio dei ministri ha deciso che il governo presenterà un emendamento «interpretativo» al decreto «Salva Taranto». Con l’emendamento si chiarisce che «la facoltà di commercializzazione dei manufatti da parte dell’Ilva riguarda anche quelli prodotti prima dell’entrata in vigore del decreto». Il ministro all’Ambiente Corrado Clini lo presenterà questa mattina. L’angoscia per 2500 operai non è finita.