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Pescara, 19/12/2025
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Data: 13/12/2012
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il Cavaliere congela la scissione: tanto il premier non si candida

Letta a palazzo Chigi poi l’annuncio ai montiani azzurri, che ora frenano. Gli ex An verso un’uscita concordata si tratta sugli aspetti economici

IL RETROSCENA
ROMA «Ora lo chiamo e chiariamo questa storia». «Non ti preoccupare lo faccio io». A metà mattina Gianni Letta riesce a frenare Silvio Berlusconi quando aveva già il dito sul telefono per chiamare Mario Monti per avere qualche chiarimento sull’ipotesi di una sua candidatura a Palazzo Chigi che un pezzo di Pdl dava talmente per scontata. L’ex sottosegretario rientra poco dopo nel salotto del Cavaliere sostenendo di aver compreso che l’attuale inquilino di palazzo Chigi non intende candidarsi a premier in prima persona anche se ribadisce di voler difendere «ciò che abbiamo fatto insieme in questi mesi».
Berlusconi allarga le braccia e pronuncia un eloquente «lo sapevo». Immediato il tam-tam che da palazzo Chigi arriva alla Camera e investe coloro che nel Pdl sino a pochi minuti prima avevano sperato di potersi traghettare in un partito nuovo di zecca. Il Cavaliere gongola, ma non sottovaluta le pressioni che continuano ad arrivare su Monti, ed è per questo che quando viene intervistato alla presentazione del libro di Vespa, non chiude la porta all’eventualità di un suo passo indietro sfruttando ciò che la grammatica italiana chiama periodo ipotetico di terzo grado e dell’irrealtà. Fatto sta che l’insistenza delle domande sull’argomento permettono a Berlusconi di prodursi in un abbraccio mortale per Monti che, secondo il Cavaliere, qualora dovesse decidersi, potrà contare sul suo sostegno. Ovviamente come «coordinatore dell’area moderata». Sistemata, per ora, questa pedina e stesa la trappola, Berlusconi continua a giocare a scacchi con i suoi e con tutta l’area moderata. Obiettivo depotenziare, o mettere fuori gioco, tutti i possibili competitor in modo da arrivare a poter sfidare personalmente e direttamente quello che considera l’unico avversario, Pier Luigi Bersani, in una sfida che male che vada lo vedrà secondo e leader dell’opposizione. Fatto sta che la frenata del Professore gela i montiani del Pdl, a cominciare da Frattini, Formigoni e la pattuglia guidata da Bertolini e Stracquadanio. In difficoltà anche Gianni Alemanno che dopo aver sondato l’Udc, ieri sera è andato a trovare il Cavaliere a palazzo Grazioli per cercare di capire come verrà attuato lo spacchettamento del Pdl. La trattativa del Cavaliere con La Russa, leader di fatto del «Centrodestra italiano», è già a buon punto e coinvolge, ovviamente, anche l’aspetto economico. Su un’altra parte della scacchiera si gioca la partita del simbolo. A Berlusconi la sigla Pdl non è mai piaciuta e vorrebbe riesumare il simbolo Forza Italia, come consigliato dalla Ghisleri. La frenata di ieri del Cavaliere, «non cambieremo simbolo», si spiega con due o tre motivi: il primo è legato alla voglia di non lasciare ad altri un simbolo che comunque evoca una stagione del centrodestra. L’altro e meno nobile, come in questi giorni sottolineano e denunciano i Radicali, è la necessità di doverlo conservare per evitare di dover raccogliere le firme per la presentazione della lista. O peggio di dover chiedere, per aggirare l’ostacolo, a venti deputati e una dozzina di senatori di formare un gruppo a nome di FI, salvo poi doverli candidare. Il terzo è invece legato alla guerra che si è aperta a Bruxelles contro il Pdl a trazione berlusconiana. Un radicale cambio di nome rischierebbe infatti di dare un motivo formale per costringere Berlusconi a rifare di nuovo domanda di adesione al Ppe. L’ipotesi di una candidatura a premier di Alfano si spiega invece con il pressing della Lega. L’altra sera è stato proprio Maroni a proporre il nome di Alfano, «tanto poi la campagna elettorale la fai tu». L’ipotesi non fa fare salti di gioia al Cavaliere, ma se il Carroccio dovesse insistere...

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