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Pescara, 19/12/2025
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Data: 18/12/2012
Testata giornalistica: Il Messaggero
L’odissea verso il Sud. Salire in Italia su certi treni è come salire sulla ghigliottina di Roberto Gervaso

Chi di voi è mai stato a Reggio Calabria? E a Villa San Giovanni? Se non c'è mai stato, ci vada. Si prenda una settimana di tempo e ci vada. Una settimana, non un giorno: si stancherebbe troppo. È un viaggio che non finisce mai, in carrozze sulle quali non sarebbe salito neppure Matusalemme. E non solo perché il patriarca biblico, vissuto prima del diluvio universale, usava altri mezzi di locomozione, ma anche perché a dorso di mulo (se esistevano i muli) o di dinosauro (ed esistevano) sarebbe arrivato alla meta prima.
Una ventina di giorni fa, con il professor Franco Romeo, El Cid dei cardiologi italiani, e non solo italiani, che accompagno in tutti i miei viaggi (ha letto bene: i miei viaggi) mi sono presentato alla stazione Termini per andare a Reggio Calabria. Dove, all'università, dovevo fare una conferenza. Avevamo entrambi un biglietto di prima classe sull'Eurostar delle 13.45 che in sei ore, o giù di lì, avrebbe dovuto traghettarci nella città calabrese. Il treno, chissà perché (ma lei, se vuole, può saperlo) era stato inopinatamente soppresso. Non chiedemmo spiegazioni perché a quelle delle Ferrovie dello Stato e di una adultera non credo mai. Ci dissero soltanto, anzi lo leggemmo sui cartelloni luminosi, che il "convoglio" (che brutta parola) sarebbe stato sostituito con quello successivo. Che non era una freccia d'argento, ma un normale Intercity (in partenza alle 14.39).
Purtroppo a Reggio avevo una cena a casa di uno dei miei più cari amici. Il convivio era stato fissato dalla moglie Mercedes, la migliore cuoca del Sud, per le ventuno. Un banchetto per pochi intimi a base di stocco.
Le carrozze erano quelle che erano. Ch'io sappia non ne erano state aggiunte altre. Prima ce n'era una sola e la precedenza l'avevano i passeggeri dell'Intercity. Io avevo in tasca la prenotazione, ma era come se non l'avessi avuta.
Simulai un malore, arte in cui non ho eguali, il professor Romeo mi soccorse e una vecchia signora, che avrà avuto vent'anni più di me, che ne ho settantacinque, mi offrì il suo posto. Mi sentii subito meglio, ma non lo diedi a vedere per non rinunciare al compassionevole privilegio. Il treno si fermava a ogni stazione perché gli Intercity per il Sud si fermano a ogni stazione. Ogni tanto, per allenarci alle soste, il macchinista tirava i freni anche in aperta campagna. Mai viste tante pecore, tanti pastori, tanti alberi, tanti rovi e roveti.
Gli inquilini del convoglio (che brutta parola) non facevano che lamentarsi. Io, che non potevo permettermi il lusso di sentirmi bene, annuivo, con accanto, in piedi, il professor Romeo che m'incoraggiava a stare meglio.
Il viaggio non finiva mai. Non eravamo su un treno, ma su una tartaruga, gravata dal fardelllo di una folla esausta e sconcertata. Mi sentii impotente, ma di un'impotenza diversa da quella che, complice l'anagrafe, ogni tanto congela i miei bollenti spiriti. Non sapevo a che santo votarmi, visto che il santo patrono delle Ferrovie era irreperibile.
Ora mi devono spiegare perché, se vado a Milano impiego tre ore e se vado a Reggio Calabria ne impiego più del doppio. Milano è più vicina, d'accordo, ma di quanti chilometri? Qualcosa non va e a questo qualcosa va posto riparo. L’ingegner Moretti ha fama di essere un manager con i corbelli, tosto e sicuro di sé, efficiente e intransigente. Dimostri di esserlo non solo sugli Eurostar per il Nord, ma anche su quelli, vere e proprie tradotte, per il Sud. Se vado a Milano pago tanto. Se vado nel Mezzogiorno, alla stessa distanza, altrettanto. Corra ai ripari, prima che mi prenda un altro malore.

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