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Pescara, 19/12/2025
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Data: 19/12/2012
Testata giornalistica: Il Messaggero
Verso il voto - Pd, la corsa ai posti sicuri. Bersani: basta polemiche «Siamo gli unici a fare le primarie». La delusione dei parlamentari esclusi

ROMA Uno, i rapporti con Monti sono «cordialissimi». Due, il Pd «è il partito più europeista che c’è in Italia». Tre, «siamo gli unici a fare una cosa che non si è mai fatta, in Italia come in Europa (le primarie per il candidato premier come per i parlamentari, ndr.) e gradiremmo essere seguiti con un po’ di simpatia visto che facciamo democrazia». E’ un Pier Luigi Bersani seccato quello che parla a lungo con i cronisti fuori dal Nazareno.
Il leader del Pd e candidato premier del centrosinistra stamane, e non certo per caso, volerà a Bruxelles. Dove incontrerà, nell’ordine, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, il presidente della commissione Manuel Barroso e il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Junker. Nessuno dei tre è un “progressista”. Bersani andrà a dir loro quello che ripete, sottolineandolo più volte, ai giornalisti: «Il Pd è un partito solidamente europeista, vuole contribuire a migliorare le politiche Ue». Poi, rivolto agli italiani, cittadini ed elettori, Bersani rammenta che «l’Italia è un Paese troppo ripiegato su se stesso, ma che deve ritrovare il suo ruolo nel mondo». Il messaggio è chiarissimo: il Pd non farà una campagna elettorale anti-Ue, stile Pdl, ma fortemente europeista. Monti o non Monti. E rispetto al colloquio dell’altro con il premier, Bersani smentisce che sia stato anche solo meno che «cordialissimo», ma aggiunge, soprattutto, che sul piano dell’affidabilità internazionale il Pd e la sua coalizione sono pronti a sfidare gli avversari, anche se Monti si candida. Poi, il segretario del Pd lancia una stoccata (ironica, stavolta) al segretario del Pdl Angelino Alfano, secondo cui Giorgio Napolitano avrebbe già dato il pre-incarico di governo a Bersani: «Alfano ama le battute, è allegro, è allegro...».
La consueta bonomia di Bersani scompare, però, quando gli si chiede delle primarie e del tormentone deroghe. Ribadito che «siamo gli unici a farle» e che «da soli non possiamo certo risolvere il problema di come si scelgono i deputati», Bersani snocciola un po’ di cifre. «La Direzione ha discusso di un numero di deroghe che non arriva neanche al 3% (dieci i parlamentari uscenti che l’hanno chiesta, ndr)», puntualizza. Poi ricorda le novità – ben poco raccontate, a suo dire - a partire dalla quota del 33% di candidature sicure per le donne, un dato che definisce «la certezza di un numero di donne in Parlamento che non c’è mai stato in un gruppo politico». Restano, però, ad ardere, e nemmeno troppo sotto la cenere, due problemi, in casa Pd: i nomi del “listino” bloccato che saranno nella piena disponibilità del segretario e dei segretari regionali (un’ottantina di nomi più i 47 capilista nelle varie circoscrizioni) e alcune esclusioni eccellenti.
I nomi del listino verranno pescati nella società civile (tra loro gli studiosi Carlo Galli, Miguel Gotor, Alberto Melloni, Massimo D’Antoni), nel sindacato (l’ex segretario della Cgil, Guglielmo Epifani) e nel comitato Bersani (in testa a tutti i tre volti giovani del bersanismo: Moretti, Speranza e Giuntella), ma anche tra i membri della Segreteria: la responsabile Scuola Francesca Puglisi e Nico Stumpo, responsabile organizzazione, ma non Orfini e Fassina, che andranno alle primarie. Tra gli esclusi eccellenti, invece, figurano l’unica deputata lesbica, Paola Concia, gli eco-dem Della Seta e Ferrante (forse recuperati) e, soprattutto, i veltroniani ieri e renziani oggi Andrea Sarubbi, Stefano Ceccanti (vero mago di sistemi elettorali). Mentre l’ex Udc Marco Follini taglia corto: «Chiedere la deroga è poco dignitoso».

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