La petizione lanciata da Di Paolo di Giustizia sociale: di fronte a questo non potranno fare finta di niente
CHIETI Quattromilacinquantatrè firme raccolte per chiedere che i politici di palazzo d’Achille si dimezzino lo stipendio. Giustizia sociale presenta l’esito della petizione lanciata per abbassare i costi della politica cittadina. Un’iniziativa voluta con forza da Bruno Di Paolo, leader di Giustizia sociale nonché ex vice sindaco della giunta Di Primio. «Mi hanno cacciato proprio per la mia richiesta di dimezzare gli stipendi dei politici teatini. Adesso», osserva Di Paolo, «non potranno sbattere la porta ad oltre quattromila cittadini che hanno aderito spontaneamente alla nostra petizione». Definita populista e non realizzabile in concreto, regolamenti degli enti locali alla mano, da molti esponenti politici del Comune, sia di maggioranza che di opposizione. «Non è così. I volantini firmati», spiega Di Paolo, «sono stati riconsegnati a mano nella sede del nostro partito o inviati tramite posta. Non sono stati allestiti banchetti in città e non ci sono stati presidi allo Scalo. La gente è venuta da sola. Addirittura una signora ci ha spedito un foglio bianco su cui sono state inserite 32 firme». La petizione verrà indirizzata al presidente del Consiglio Mario Monti, al ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, al prefetto di Chieti, al sindaco e al presidente del consiglio comunale Marcello Michetti. «L’articolo 63 dello statuto del Comune prevede la partecipazione popolare. Questa petizione», dice Di Paolo, «dovrà essere discussa per forza di cose in consiglio. Basta con chi continua a scambiare l’azione politica con populismo». Angelo Pasquantonio, segretario cittadino di Giustizia sociale, aggiunge. «Non ci vorrebbe molto ad istituire un fondo di solidarietà comunale dove», sostiene, «ogni consigliere o assessore possa devolvere una percentuale dell’indennità mensile percepita». Va giù duro Vittorio Cimini, della segreteria di Giustizia sociale. «La metà dello stipendio è più che sufficiente per i nostri politici», attacca, «considerando l’immobilismo che c’è in città». Non a caso Di Paolo parla di una città commissariata. «La tassazione è al massimo e non esiste una programmazione degna di questo nome. Invece di spendere 670 mila euro per pagare i nostri politici», riprende Di Paolo, «sarebbe meglio avere un commissario. La gente vuole altro da questa amministrazione e nessuno mi tapperà la bocca».