Venerdì le dimissioni di Monti, ieri le consultazioni lampo del presidente della Repubblica che ha firmato i decreti di scioglimento delle Camere e quello che fissa le elezioni politiche per il 24 e 25 febbraio 2013. E sarà election day, perché anche il Lazio, insieme a Lombardia e Molise, voterà negli stesso giorni per la Regione. Lo ha fissato un nuovo decreto firmato ieri da Renata Polverini. Non si placa intanto il nervosismo e l’attesa dei partiti per le prossime mosse di Mario Monti. E proprio la figura del Professore è stata al centro dei colloqui del capo dello Stato. Per il Pdl sono saliti al Colle Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri che, come era prevedibile, non hanno fatto tanti giri di parole. Quasi un avvertimento quello recapitato a Napolitano: «Abbiamo sottolineato al presidente come andando a elezioni con un governo non eletto ma tecnico, il premier dovrà tenere la sua collocazione fuori dalle parti» ha detto Cicchitto. Già, perché Mario Monti resterà comunque in carica fino alle elezioni per il disbrigo dei soli affari correnti, e non sfugge a nessuno lo status di conflitto di interessi in cui si porrebbe. «Mario Monti resti neutrale in questa campagna elettorale» è la sintesi dell’altolà del Pdl, che aspetta solo di festeggiare la rinuncia del professore a scendere in campo per eliminare «a tavolino» un avversario troppo ingombrante. Le voci sempre più insistenti di un disimpegno di Monti, che sta portando smarrimento tra i leader del centro, in primis Casini, ha stemperato un po’ il clima di tensione delle consultazioni. Napolitano ha incontrato Dario Franceschini e Anna Finocchiaro del Pd. I democratici non sono voluti scendere sul terreno della polemica, anche se con Monti è calato il gelo dopo il recente faccia a faccia con il segretario Bersani. I due dirigenti hanno voluto ringraziare Napolitano e il premier per il lavoro svolto in questi mesi, chiedendo che però adesso si apra una fase nuova. «Si è chiusa la fase del governo tecnico, si va alle elezioni e la sovranità torna al popolo. Noi siamo consapevoli che l’Italia merita ora una seconda fase» ha detto Franceschini. Per il Pd servono «politiche progressiste e riformiste, ora deve passare un principio molto semplice: chi ha di più deve mettere di più, chi di meno deve mettere di meno». Insomma, maggiore equità nella politica del prossimo governo, quasi una critica indiretta a quanto fatto dall’esecutivo dei professori. Si chiude dunque un capitolo per la politica italiana, «commissariata» da un governo di tecnici per manifesta incapacità da parte dell’ultimo governo Berlusconi di mantenere la barra dritta nella tempesta della crisi economica internazionale. Si chiude anche l’era Napolitano, con il suo settennato in scadenza, ma c’è da giurare che il presidente farà sentire la sua voce fino all’ultimo giorno. Ieri è apparso molto deciso e più nervoso del solito, anche lui colto di sorpresa dagli ultimi eventi: l’uscita del Pdl dalla maggioranza e la tentazione di Monti di scendere in politica. Si concede ai giornalisti e commenta freddo: «Una conclusione prevista e già segnata». I rapporti con il Pdl, che ha sancito l’anticipata chiusura della legislatura, non sono mai stati buoni, ma oggi sono pessimi. Tutto era già scritto, sottolinea, «quando il segretario del Pdl mi ha formalmente comunicato la decisione del suo partito di ritenersi libero di non appoggiare più il governo dopo l’approvazione della legge di stabilità» e quindi «il presidente Monti ha ritenuto doverne trarre la conclusione». Parole che fanno capire quanto la mossa del Pdl, ma anche quella delle dimissioni di Monti, lo abbiano sorpreso e contrariato. E avverte che a questo punto la campagna elettorale, iniziata anche formalmente, si deve svolgere «senza toni esasperati. Una campagna elettorale che sia contraddistinta «dal massimo della misura e dello spirito competitivo ma costruttivo». Rinvia ulteriori considerazioni al suo ultimo discorso di fine anno, e sulle rimostranze del Pdl taglia corto: «Ho preso nota di quella preoccupazione e la trasmetterò al presidente del Consiglio». Aggiungendo che comunque «non esisteva alcuno spazio per sviluppi in sede parlamentare» della crisi. E a chi gli chiede un giudizio sull’operato del governo ribatte: «Non do giudizi di questa natura. Ho via via valorizzato gli effetti che hanno avuto le decisioni del governo Monti in chiave di credibilità e autorevolezza del Paese in Europa o nei fori internazionali. Spetta alle forze politiche dare quel giudizio». Su tutto aleggia ancora il mistero sulle mosse di Monti che inquietano i partiti di centro. «L’Udc rispetterà le scelte del presidente del Consiglio qualunque esse siano» sibila deluso Casini. All’altro polo c’è la soddisfazione della Lega Nord per le dimissioni di Monti: «Sono una buona notizia di Natale per tutti i cittadini».