ROMA Sei anni, dal crac al passaggio nelle mani della cordata italiana guidata da Roberto Colaninno. Una lunga odissea e ora si riapre la partita della vendita a Air France.
E’ il 12 dicembre del 2008 quando arriva la firma tra Cai e Alitalia. Si chiude così il tormentato processo di privatizzazione iniziato due anni prima. Da allora in poi, l’Alitalia risanata ha cercato di navigare tra le onde della peggior crisi economica del dopoguerra senza riuscire però a fare il vero salto di qualità in grado di proiettarla in una dimensione davvero internazionale. Tanto che ora si riapre la questione del suo futuro.
La decisione di mettere in vendita la quota di controllo della compagna di bandiera viene presa dal governo di Romano Prodi nel 2006. Dalle mani di Cimoli la presidenza della compagnia passa a Berardino Libonati. Dopo di lui verrà Maurizio Prato, poi il commissario Augusto Fantozzi fino alla cessione a Cai.
Delle cinque cordate che in un primo momento partecipano alla procedura di vendita, nessuna arriverà in fondo. Si presentano l’AirOne di Carlo Toto con Intesa-Sanpaolo; e poi il fondo salva-imprese M&C di Carlo De Benedetti; Matlin Patterson Global Advisers; Texas Pacific Europe; Unicredit Banca Mobiliare. La gara fallisce a luglio e Maurizio Prato, diventato presidente, vara un ''piano di sopravvivenza'' con esuberi, tagli di voli e ridimensionamento di Malpensa.
Ma soprattutto, Prato riprende le trattative con potenziali partner, su mandato del Tesoro. A fine anno, è ormai il 21 dicembre del 2007, il consiglio d’amministrazione Alitalia sceglie Air France-Klm per proseguire in esclusiva la trattativa per la cessione del 49,9% del Tesoro. Nel marzo 2008 , dopo una lunga seduta notturna del Cda, Alitalia accetta l’offerta di Air France-Klm e il tesoro avvia il confronto con i sindacati sulla previsione di 2.100 esuberi.
Da quel momento in poi, la vicenda Alitalia entra in piena campagna elettorale. Il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, boccia la cessione ai francesi e rilancia la cordata italiana con AirOne e Intesa, smontando l’accordo sottoscritto da Prato. Jean-Cyril Spinetta torna a Parigi: Air France si ritira. Con la vittoria di Pdl e Lega alle elezioni la cordata italiana accelera e in agosto, advisor Intesa SanPaolo, nasce la newco con i primi 16 soci, per dare vita alla Compagnia Aerea Italiana. Rocco Sabelli è l'amministratore delegato.
Intanto Alitalia viene spacchettata e il governo nomina Augusto Fantozzi commissario della bad company dove confluiscono le attività da chiudere .Si aprono mesi ad alta tensione per la dura trattativa sindacale sugli esuberi con piloti e assistenti di volo. A fine settembre si rischia addirittura la sospensione della licenza di volo da parte dell’Enac. Lufthansa fa un tentativo di avvicinamento ma fallisce. Cai compra Alitalia per 1,052 miliardi di euro, di cui 427 milioni cash.
L’economista Ponti: «Tempo perso, sarebbe stato meglio arrendersi subito»
ROMA «Ben venga Air France. Se compra l’Alitalia, di cui ha già il 25% del capitale, non c’è che da rallegrarsene. Finalmente entrerà in un gruppo di dimensioni adeguate».
Non ha dubbi Marco Ponti, professore di economia applicata al Politecnico di Milano e grande esperto di Trasporti. Il destino della compagnia di bandiera, afferma, è in buone mani. «Nonostante anche Air France abbia qualche problema e non sia del tutto libera da condizionamenti pubblici, tuttavia insieme a Klm ha le spalle larghe ed è in grado di integrare Alitalia in uno schema industriale idoneo».
Perché a suo giudizio Air France è la soluzione migliore per la nostra compagnia?
«La fusione con Air France andava fatta quattro anni fa. I tecnici, d’altronde, lo avevano subito detto che il modello industriale che è stato poi adottato, appariva un po’ stravagante».
A cosa si riferisce?
«Una compagnia piccola come è Alitalia, paragonate agli altri concorrenti sul mercato, voleva coprire mercati rilevanti, con pochi aerei e con una flotta arlecchino ossia con velivoli di ogni marca possibile. Ma come pensavano di riuscire a coprire i tre sottomercati, nazionale, europeo e intercontinentale e di competere con la stessa efficienza dei concorrenti? Per di più, portandosi dietro un’eredità da compagnia decotta e con dei soci che non avevano esperienza in un settore complesso come quello dei trasporti. L’Antitrust ha anche concesso tre anni di garanzia, prima di porre la questione della posizione dominante su alcune tratte come la Roma-Milano, ma non è bastato. E il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti».
A suo tempo risultò decisiva la difesa dell’italianità della compagnia di bandiera. E tuttora torna a galla. Un falso problema o una questione seria?
«Avere il tricolore sulla coda, mi sembra attualmente l’ultimo dei problemi. Fusioni tra compagnie nazionali sono state fatte in Europa, sulla spinta della crisi, come per esempio quella tra Iberia e British Airways. E non hanno lasciato strascichi. I viaggiatori non soffriranno per la fusione di Alitalia con Air France perché il mercato è sufficientemente competitivo e l’offerta non manca».
Quale può essere l’alternativa? Anche Etihad, la compagnia di Abu Dabi, sembra interessata.
«Diciamolo con chiarezza: chiunque si prenda Alitalia è il benvenuto. Altrimenti, Alitalia dovrebbe optare per una soluzione di nicchia come ha fatto per esempio Air Berlin con buoni risultati. Ma non mi sembra la sua vocazione. Realisticamente, allontanare l’ipotesi di acquisizione significa correre il rischio di far pagare ancora a noi, alla collettività, il costo di tenerla in vita. Invece, abbiamo già dato. La compagnia ha assorbito da 4 a 5 miliardi di euro, attraverso successivi aumenti di capitale negli ultimi 5-6 anni che sono completamente evaporati».
Non c’è il rischio di una visione franco-centrica che penalizzi Roma?
«L’hub romano posside numerose potenzialità ma Alitalia dovrebbe dimostrare ad Air France di avere segmenti interessanti e rotte profittevoli. Se così fosse, sono sicuro che il management di Alitalia saprà negoziare al meglio. Ma bisogna dimostrarlo con i numeri. Altrimenti non c’è che una soluzione: arrendersi. Se lo avessimo fatto prima sarebbe costato molto meno».