Slitta ancora la decisione del gup Luca De Ninis sulla richiesta di rito abbreviato avanzata dalla difesa del notaio Massimo D’Ambrosio, noto professionista fra gli imputati dello scandalo legato alla maxi evasione da 90 milioni di euro delle società del gruppo dell’imprenditore Giuseppe Spadaccini. Nell’udienza preliminare di ieri il giudice ha concluso l’esame del commercialista chietino Giacomo Obletter ed ha sentito altri imputati minori; deciderà sulla richiesta del notaio nel corso della prossima udienza quando inizierà la discussione che porterà alla decisione sulla sorte delle 14 persone coinvolte nel procedimento.
Obletter, dal canto suo, ha tenuto impegnato il gup per due udienze tra esame e controesame. Il noto professionista, che figura anche in altri importanti processi, ha spiegato nel dettaglio quello che fu il suo ruolo in questa vicenda per la quale finì anche in manette. «Non ho mai lavorato direttamente per Spadaccini - ha detto - ma con il dottor Valenti per il gruppo Spadaccini. Fui incaricato, alla fine degli anni ’90, di reperire le risorse finanziarie presso il sistema bancario italiano per avviare le attività di Spadaccini, quando quest’ultimo prese per la prima volta l’appalto degli aerei della Protezione civile». Parte da lontano Obletter, per spiegare come dal 2001 al 2004 tenne la contabilità della Petillant, società immobiliare controllata dall’imprenditore aeronautico. Dopo la Petillant, sempre su incarico di Valenti, Obletter passò ad occuparsi della Bytols, ma solo come rappresentante fiscale in Italia. Rispondendo alle domande del suo difensore, ha poi sottolineato di non essersi mai preoccupato di verificare la costituzione della provvista di quella società, perché non era suo compito e perché non aveva mai avuto nessun tipo di segnale negativo: «Non c’erano indicatori di anomalie tali da destarmi sospetti».
Regolari, sempre secondo Obletter, sarebbero stati anche gli acquisti degli arerei: «La mia parte era quella di verificare che l’atto fosse lecito, con pagamenti tracciabili effettuati tutti con bonifici bancari e regolarmente fatturati». Smentisce qualsiasi tipo di intermediazione societaria fittizia e nega l’esistenza di cartiere. Ma poi la discussione si accende quando viene tirato in ballo l’apertura di un conto corrente a Montecarlo e di una parcella di 900 mila euro. «Se la sua era soltanto una occasione di procacciamento di lavoro - interviene il giudice - a che titolo chiede dei soldi?». E qui si innesca un botta e risposta con lo stesso giudice che conclude così: «A me non sfugge il fatto che un professionista che cerca lavoro si fa remunerare per l’attività di procacciamento di lavoro. È la prima volta che lo sento».