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Data: 19/01/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Sisma, analisi generica e inefficace «Si potevano salvare vite umane»

L’AQUILA Non è un stato un processo alla scienza, lo ribadisce con forza il giudice Marco Billi nelle 940 pagine di motivazioni depositate ieri a corredo della sentenza di primo grado. I sette componenti della commissione Grandi rischi (Barberi, De Bernardinis, Boschi, Selvaggi, Calvi, Eva e Dolce) non sono stati condannati per «l’assenza di virtù profetiche», ovvero per non aver previsto il terremoto che ha devastato L’Aquila nel 2009, ma per aver violato leggi (la 225 del 1992 e la 401 del 2001) che impongono una corretta valutazione del rischio e precise misure di prevenzione per limitare al minimo i danni. Si potevano salvare vite umane, scrive il giudice, se solo i luminari, nella riunione del 31 marzo 2009 - pochi giorni prima della catastrofe - non avessero proceduto «a un’analisi del rischio assolutamente approssimativa, generica e inefficace», «attuando nei fatti l’operazione mediatica ispirata da Bertolaso»: «Gravi profili di colpa - scrive Billi - si ravvisano nell’adesione, consapevole e acritica, alla volontà del Capo del Dipartimento della Protezione civile che si è concretizzata nell’eliminazione dei filtri normativamente imposti tra la commissione e la popolazione». Una comunicazione che in questo modo amplificato l’efficacia rassicurante del messaggio trasmesso, «producendo effetti devastanti sulle abitudini cautelari tradizionalmente seguite dalle vittime». A una corretta valutazione del possibile scenario di rischio, infatti, «andava di pari passo calibrata una corretta informazione». E anche su questo aspetto Billi è durissimo nel demolire la tesi difensiva: «La stampa e gli organi di informazione non hanno affatto divulgato in modo non corretto gli esiti della riunione e non hanno per nulla conferito, autonomamente, al messaggio in questione una valenza rassicurante che esso non aveva».
LA RIUNIONE
La lettura del verbale ufficiale, dice Billi, evidenzia affermazioni «generiche e approssimative» e fornisce un quadro d’insieme «caratterizzato da una contraddittorietà che rimane insoluta». Nell’elenco del giudice tutti i «buchi neri» di quell’incontro durato appena un’ora: in particolare si sostenne che lo sciame che durava da tre mesi era un fenomeno normale, non pericoloso, non preoccupante; la situazione era favorevole perché lo scarico di energia allontanava una forte scosse; l’unica forma di prevenzione possibile era l’adeguamento sismico degli edifici; lo scenario prefigurava danni limitati alle parti fragili e non strutturali degli edifici; i forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno molto lunghi, pari a 2-3 mila anni, ed era quindi improbabile il rischio a breve di una forte scossa come quella del 1703. Tutte considerazioni, è scritto nelle motivazioni, che dimostrano «superficialità, insufficiente attenzione o anche solo scarsa consapevolezza dei doveri che la legge impone ai membri della commissione». È nella frase finale della bozza del verbale, quando l’ex assessore Daniela Stati dice «Grazie per queste vostre affermazioni che mi permettono di andare a rassicurare la popolazione» che Billi ravvisa la «violazione di specifici obblighi in tema di valutazione, previsione e prevenzione del rischio e informazione chiara, corretta e completa». Ovvero un «devastante effetto rassicurativo».

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