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Pescara, 19/12/2025
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Data: 19/01/2013
Testata giornalistica: Il Centro
Mafia, chiesti 7 anni per Dell’Utri «Sempre con i boss». Il pg: il senatore non ha mai reciso i rapporti con Cosa nostra Lui sicuro della candidatura. «Con Grande Sud? Minchiate»

ROMA Sette anni di carcere a Marcello Dell’Utri, l’uomo che avendo «messo in contatto Cosa Nostra con Berlusconi, ha permesso che la mafia condizionasse la linea imprenditoriale e politica del Paese, un patto di protezione mai sciolto e portato avanti nel tempo». Un «rapporto trentennale», in cui l’ex manager di Publitalia, amico fidato dell’ex premier, avrebbe avuto contatti con i vertici dell’organizzazione, compresi «i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, i capimafia di Brancaccio, responsabili delle stragi più gravi che hanno segnato il nostro Paese». Il procuratore generale Luigi Patronaggio ha concluso ieri con queste parole la sua requisitoria davanti alla corte d’appello di Palermo, chiedendo per il senatore del Pdl, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, la conferma della condanna inflitta in appello due anni fa, poi annullata con rinvio dalla Cassazione. Una lunga ricostruzione con cui il pm ha cercato di superare i limiti evidenziati dalla suprema corte nel marzo scorso: secondo la Cassazione, infatti, se è provato il rapporto di mediazione costruito da Dell’Utri a metà degli anni Settanta, un patto di protezione in base al quale Berlusconi avrebbe pagato alla mafia «in stato di necessità cospicue somme per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari», così non si può dire per il periodo che va dal 1977 al 1982, anni in cui Dell’Utri non lavorò con Berlusconi ma con l’imprenditore Alberto Rapisarda. Per il periodo successivo al 1992, invece, la Cassazione ha assolto definitivamente Dell’Utri dalle accuse, ma ancora ieri Patronaggio ha ribadito che i rapporti tra l’uomo politico e i boss non si sarebbero mai interrotti, tanto che nel dicembre 1993 ci sarebbe stato «il rilancio del patto» fra Cosa Nostra e Dell'Utri. «Caduto Craxi, Cosa Nostra pose le sue attenzioni a Forza Italia. Non fu la mafia a far vincere le elezioni del 1994 a Forza Italia, ma è certo che votò quel partito – ha affermato il pg – Per quel che riguarda il periodo precedente, non c’è soluzione di continuità tra il patto scellerato del ’74 fra Dell’Utri e l’organizzazione e il patto rinnovato con Riina nell’88». Secondo il pm, Dell’Utri «coordinandosi prima con Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Vittorio Mangano (lo stalliere di Arcore), poi con Riina, Bagarella e Provenzano» avrebbe «contribuito a rafforzare Cosa Nostra» e avendo «assoggettato uno dei più importanti imprenditori italiani, costringendolo a pagare le estorsioni» avrebbe agito per «accrescere il proprio potere». La sentenza è attesa dopo le elezioni. Ma il Pdl reagisce annunciando azioni giudiziarie: «Per rendere onore alla verità storica ho deciso di adire le vie legali nei confronti di Patronaggio» comunica il coordinatore del Pdl Sandro Bondi, mentre Fabrizio Cicchitto parla di «attacco politico a Forza Italia» e di tesi smentite dalle «ricostruzioni storiche» e dall’impegno antimafia del governo Berlusconi. Il senatore, dal canto suo, non fa passi indietro: «Certo che mi candido, finché sono vivo continuerò a candidarmi, ma non ho ricevuto proposte», fa sapere, definendo l’ipotesi di candidatura in Grande Sud «grande minchiata» e lasciando intendere un ritorno col Pdl: «Basta ricordarsi dove sono sempre stato»

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