ROMA «Caro presidente, quei dati che ti hanno dato non sono veri. Al Senato non riusciamo a prenderne quattro. Se Ingroia fa l’otto per cento ci fermiamo ben sotto i quattro». A mandare in tilt il gruppo di lavoro composto da Verdini, Alfano, Fitto, Bondi e Schifani (che con sé porta un attento studio fatto dal Senato sulla distribuzione dei collegi), sono i tanti fax di protesta che gli esclusi e i potenzialmente penalizzati, hanno inviato e stanno continuando a spedire ai centralini di palazzo Grazioli e di Arcore. Una sorta di controinformazione» che il Cavaliere ha promesso a tutti di «valutare», ma che rischia di allungare ancora l’ufficializzazione delle liste del Pdl.
SALTANO VENETO E BASILICATA
Se si considera che c’è chi ieri sera metteva in discussione anche le due uniche regioni dove le liste sono state più o meno ufficializzate, il Veneto dell’ex An Giorgetti e la Basilicata del tenace Viceconte, si ha la misura di un lavoro tutt’altro che concluso. Con gli uffici di via dell’Umiltà ormai da qualche giorno impraticabili, la pattuglia di ”esaminatori” è stata costretta al trasloco a palazzo Grazioli e non è detto che il Cavaliere decida di effettuare le ultime limature direttamente ad Arcore. Anche perché, malgrado la pressione, nessuno dei cosiddetti ”impresentabili” ha voglia di tirarsi da parte. Proprio per non essere neppure accostato a quella pattuglia, ieri si è fatto da parte Scajola che da giorni si chiedeva perché tra quei nomi «non c’è quello di Verdini». Il coordinatore fiorentino del Pdl è assediato da più parti e la tensione tra lui e il segretario è affiorata in questi giorni in diverse occasioni anche perché ai calcoli di Verdini, Alfano ha più volte opposto quelli in possesso di Schifani.
Proprio la Sicilia, insieme a Lazio e Campania, sono le regioni più complesse. Nella prima il Pdl deve trovare gli incastri con il Grande Sud di Miccichè e deve districarsi tra le mille furbizie di Raffaele Lombardo. In Campania il possibile repulisti delle liste apre spazi insperati a molti e, forse, la porta della galera ad altri.
COSENTINO
Proprio questa eventualità potrebbe frenare la voglia di azzeramento di Berlusconi, limitandola ad alcuni nomi, anche se il passo indietro di Cosentino sembra reale, al punto che avrebbe trattato per avere posti sicuri per Cesaro, Sarro e Petrenga. Malgrado le certezze su questo fronte si avranno solo lunedì sera, quando i timbri del notaio saranno su tutte le liste, il pressing resta fortissimo e tra gli strumenti di pressione ci sono anche gli immancabili sondaggi secondo i quali, udite-udite, il Pdl prenderebbe 4-5 punti in più senza gli ”impresentabili”. Boutade a parte, la tensione è fortissima anche nel Lazio, regione nella quale il Pdl vedrà ridotti di un terzo gli attuali parlamentari e che sembra destinata ad accogliere altre new entry. Per la gioia degli uscenti.
SEGRETARIE
A cominciare da Alessia Ardesi, simpatica e avvenente segretaria che a palazzo Grazioli lavora nell’ufficio stampa dopo aver a lungo collaborato nel giornalino dell’ospedale San Raffaele ed essere stata nello staff dell’ex ministro Fazio. Sempre in tema di segretarie e collaboratori è anche data per certa la candidatura in Lombardia di Elisabetta Ludovico, già a palazzo Chigi nell’ultimo governo e che attualmente ”gestisce” l’agenda di Berlusconi.
La compilazione delle liste del Pdl non è stata mai complicata come in questa occasione, malgrado una buona fetta di ex An, e non solo, sia trasmigrata in Fratelli d’Italia e altri, come Mario Valducci, abbiano deciso di tornare alla propria professione dopo essere stati parlamentari dal ’94.
«Non mi ha nemmeno ricevuto»
ROMA Onorevole Alfonso Papa ha sentito cos’ha deciso il suo partito?
«Non ancora, mi spiace. Cosa ha deciso?»
Che non candiderà gli indagati, e dunque neanche lei.
«Bah... io lo avevo detto prima e lo ripeto ora: era stato il presidente Berlusconi a dirmi di andare avanti nella mia battaglia, che è una battaglia per la dignità umana. Per chi ha vissuto un’esperienza come la mia, per chi sa cos’è il carcere e cos’è Poggioreale, impegnarsi per cambiare le cose era il minimo. E io l’ho fatto».
Il Cavaliere deve averci ripensato.
«Fu lui a spingermi in tempi non sospetti a candidarmi e su questo solco avevo dato la mia disponibilità. Lo considero un liberale e mi ha sempre prestato ascolto. Gli dissi che non avrei voluto essere la pietra dello scandalo. Sarei tornato in Parlamento ma solo perché quei 157 giorni passati in carcere hanno segnato la mia vita e sento il bisogno di impegnarmi. Solo chi ha vissuto certe esperienze sa cosa voglio dire. Quando e se se ne esce ci si rende conto che tutte le altre difficltà sono niente in confronto. Ma non voglio ripeterlo ancora, sennò oltre che impresentabile passo anche per arteriosclerotico».
A palazzo Grazioli avrebbero potuto almeno riceverla.
«Lo so, ma non c’è stato proprio modo di parlargli. Erano giorni particolarmente convulsi».
Che cosa gli avrebbe detto?
«Gli avrei spiegato che nel prossimo Parlamento c’è il rischio concreto che non ci siano i radicali e dunque l’altissima possibilità che nessuna forza politica mostri sensibilità ai temi che riguardano i diritti civili e in particolare i diritti dei detenuti. Un rischio reale. In questi giorni, anche dopo essere stati messi in mora dall’unione europea per le condizioni in cui si vive nelle carceri italiane, non ho sentito nessuna voce levarsi forte. Io avrei continuato a impegnarmi come ho fatto in tutti questi mesi partecipando nel frattempo a tutte le udienze senza opporre mai nessun impedimento. Se mi avessero ricandidato sarei stato ben felice di vedermi confermata la fiducia. Ma se il Pdl ha ritenuto di fare diversamente non c’è nessun problema».
C’era qualcuno molto più impresentabile di lei, si consoli.
«Eh... non so... ogni storia è una storia a parte».
E ora?
«Ora continuerò la mia battaglia anche fuori dal Parlamento».