ROMA Richieste di dimissioni, dissociazione di un collega commissario, accuse di interventi a gamba tesa nella campagna elettorale italiana. E’ bastato che Olli Rehn associasse il nome di Silvio Berlusconi alla crisi che aveva portato l’Italia sull’orlo del baratro finanziario per far scattare una levata di scudi di tutto il Pdl. L’Italia è «un chiaro esempio» dell’effetto fiducia sui mercati, ha spiegato ieri il commissario agli Affari economici in un dibattito all’Europarlamento sul Semestre Europeo. Nell’estate 2011 «l’Italia aveva fatto alcune promesse», ha ricordato Rehn. Poi «il governo Berlusconi decise di non rispettare gli impegni e da questo risultò un aumento dei costi di rifinanziamento dei titoli di Stato e una fuga dei finanziamenti che ha soffocato la crescita economica e ha portato a un vicolo cieco politico che è sfociato nel governo Monti». Secondo Rehn, invece, il governo Monti è «riuscito a stabilizzare la situazione».
ALTA TENSIONE
Non è la prima volta che il commissario agli Affari economici, esponente della famiglia politica dei liberali europei, ripercorre gli ultimi concitati mesi del governo Berlusconi. L’11 gennaio Rehn aveva spiegato che «dal settembre 2011 in Italia avevamo visto politiche non coerenti con gli impegni di bilancio». Solo in novembre - cioè con l’arrivo di Mario Monti a Palazzo Chigi - «sono state avviate misure di consolidamento più coerenti ed efficaci», aveva detto Rehn. Se tre settimane fa nessuno nel Pdl era intervenuto, ieri è arrivata un’ondata di critiche. A cominciare dal segretario, Angelino Alfano: «E’ inaccettabile che Rehn intervenga nella campagna elettorale di uno Stato membro». Renato Brunetta ha chiesto le dimissioni del commissario e «una commissione d’inchiesta del Parlamento Europeo». Il coro degli esponenti nazionali ed europei del Pdl è proseguito per tutta la giornata, compreso il commissario all’Industria, Antonio Tajani: «Mi dissocio e mi rammarico per la dichiarazione sull'Italia del mio collega Rehn che rischia di far apparire non indipendente la Commissione». Gli europarlamentari del Pdl sono stati convocati da Berlusconi venerdì a Roma. Sul leader del Pdl incombe anche la minaccia di espulsione del Ppe, che potrebbe concretizzarsi dopo le elezioni.
NESSUNA RETROMARCIA
Nonostante lo scontro con Tajani, Rehn non ha fatto marcia indietro, sintomo che anche ai piani più alti della Commissione l’insofferenza verso Berlusconi ha raggiunto il limite. I commenti del commissario non vanno inseriti «nel contesto di una campagna elettorale nazionale», ha precisato il suo portavoce, Simon O’Connor: Rehn si è limitato a ricordare che «le turbolenze sui mercati erano aumentate nel corso di settembre e ottobre, riflettendo la convinzione tra gli investitori che non c'era una spinta sufficientemente forte per mandare avanti l'agenda di riforma». Secondo il segretario del PD, Pier Luigi Bersani, le parole di Rehn non sono «una gran novità. Basta guardare i dati di questi 10 anni (…) rovinosi sotto l'aspetto del bilancio pubblico, dell'economia reale, della credibilità delle istituzioni». Per il leader di Fli, Gianfranco Fini, se Monti ha restituito credibilità all’Italia vuol dire che con Berlusconi «l'avevamo persa».