ROMA Come previsto, siamo in piena battaglia fiscale. A parte le incognite che arriveranno dalla cronaca (da Mps al Mali) sarà il fisco il campo su cui si concentrerà lo scontro tra i tre contendenti più accreditati. Pd, Pdl, e la coalizione guidata da Monti. E le questioni non riguardano solo le tasse da tagliare, ma le coperture: il modo in cui le eventuali riduzioni fiscali saranno coperte (tagli alla spesa, altre tasse, altre entrate) e se siano effettivamente sostenibili da un punto di vista politico.
IL DOSSIER IMU
È stato Silvio Berlusconi ad aprire la partita – anche questo era prevedibile – con il dossier Imu. La proposta del Pdl è quella di abolire l’imposta sulla prima casa con la rimodulazione di una serie di imposte minori, su tabacchi, alcol e giochi. Pd e Scelta civica sono stati costretti a reagire con una controffensiva Imu. Scelta civica l’ha impostata sulle detrazioni; il Pd con l’eliminazione dell’imposta per i valori bassi compensata da una minipatrimoniale personale per valori catastali sopra 1,3 miliardi.
Ma negli ultimissimi giorni il campo si è allargato. Il tema è la pressione fiscale generale. Complice la recessione siamo arrivati a cifre da record: al 44,7%, dice l’Istat. Nel 1994 quando comincia l’era secondo-repubblicana il peso delle tasse sul pil era del 40,77%.
I TAGLI DI MONTI
Ed è stato Mario Monti a sferrare l’attacco. L’altra mattina, ospite di Omnibus su la7, ha annunciato un programma di tagli fiscali da quasi 30 miliardi a regime, equivalente a poco meno del 2% del Pil. In che cosa consiste? Nella già annunciata riduzione dell’Imu, 2 miliardi e mezzo (la stessa riduzione calcolata dal Pd), ma sulla base di detrazioni: per esempio quelle sui figli a carico. Poi, un forte taglio dell’Irap (il costo del lavoro verrebbe eliminato dalla base imponibile) da 11,5 miliardi e una riduzione dell’Irpef da 15,5.
Le coperture indicate da Scelta civica vengono dalla chiusura dei rubinetti della spesa corrente, dalla lotta all’evasione e dalla riduzione della spesa per interessi sul debito pubblico. È plausibile?
Tenere la spesa corrente al livello di quest’anno è possibile, ma si potrebbe fare uno sforzo ulteriore con la spending review. Sulla lotta all’evasione è difficile dire. Anche il Pd ritiene di poter ottenere più dei 12 miliardi calcolati per il 2012, ma è una posta aleatoria. Quanto alla spesa per interessi, dobbiamo augurarci che lo spread rispetto ai titoli tedeschi scenda. Se riuscissimo a stare sotto duecento punti potremmo risparmiare 5 miliardi l’anno. Non tantissimo rispetto ai 90 miliardi del 2012, ma sarebbe un primo passo. Alcuni osservatori ipotizzano che un controllo più rigido sulla spesa per l’acquisto di beni e servizi (circa 160 miliardi) costituirebbe un doppio risparmio: e cioè, i tagli da spending review e le loro conseguenze su una ulteriore riduzione degli interessi sul debito.
LE PROMESSE PDL
Sulla carta la strada indicata dal Pdl è più aggressiva. Un editoriale sul Giornale di lunedì firmato da Renato Brunetta, il responsabile del programma economico pidiellino, dava indicazioni interessanti sulle linee guida del centro-destra. Eccole in sintesi. Brunetta scrive di una riduzione della pressione fiscale del 5% in 5 anni (pari a 80 miliardi di euro a regime). Da che cosa sarebbe fatto questo alleggerimento? Eliminazione dell’Imu prima casa (4 mld a regime), eliminazione dell’Irap (35 mld a regime), semplificazione delle aliquote Irpef, da porta a due sole, una al 23 e una al 33%. Questi tagli fiscali andrebbero finanziati attraverso due azioni: riduzione della spesa per l’acquisto di beni e servizi e della spesa per interessi (che si otterrebbe secondo Brunetta anche dall’abbattimento del debito attraverso un programma di dismissioni del patrimonio pubblico). È sostenibile questo programma?
Sulla carta tutto si può fare. In realtà queste idee circolano nel campo pidiellino dai tempi di Forza Italia. Il processo di semplificazione delle aliquote Irpef non è sostanzialmente mai cominciato se non un assaggio nel 2005. Idem per quanto riguarda l’Irap. E in generale, a parte un indiscutibile contributo in termini di cultura politica - aver dato dignità al tema fiscale come discrimine nelle scelte elettorali - il contributo di Forza Italia prima e del Pdl dopo, all’abbassamento della pressione fiscale reale è stato pressocchè nullo negli ultimi vent’anni. Perché il movimento politico di Silvio Berlusconi non è mai riuscito a convincere il Parlamento e l’opinione pubblica a reperire nel taglio alla spesa pubblica le risorse per ridurre la pressione fiscale.
LA RICETTA DEL PD
Quanto alla posizione del Pd, l’analisi è più complessa. Il partito democratico sta facendo una campagna elettorale di rimessa. Si sente lepre, come dice Pierluigi Bersani, e dunque limita al massimo i rischi, l’esposizione sul programma. Sì, ha risposto all’offensiva sull’Imu, con una proposta formulata da Stefano Fassina, perché troppo delicato il fronte della prima casa. Ma per il resto vige prudenza. Sappiamo dai documenti prodotti negli ultimi tempi (a partire dal “Fisco 20-20-20” disponibile sul sito del Pd) che il partito di Bersani vuole ridurre l’Irpef sui redditi bassi, ma non quantifica la riduzione. Sappiamo anche che punta alla defiscalizzazione degli utili reinvestiti nelle imprese, ma non sappiamo in che misura. Sulle coperture, mentre l’eliminazione dell’Imu sotto i 500 euro viene finanziata da una patrimonialina, il resto per il momento viene assegnato genericamente al recupero dell’evasione fiscale. Viene stimato informalmente almeno un raddoppio della posta cifrata quest’anno, 12 miliardi. Ma non ci sono indicazioni esplicite. In realtà i vertici del Pd ritengono che al momento (sicuramente per tutto il 2013) non ci sia spazio per riduzioni sensibili delle tasse. E Bersani crede che la campagna elettorale vada fatta senza promesse.
Marco Ferrante