PESCARA «Toglietevelo dalle testa, Angelini vuole ricostruire un altro mondo. Lei mi chiede se si è inventato tutto? Certo». E’ la sua versione dell’inchiesta quella che l’ex presidente della Regione Ottaviano Del Turco è venuto a raccontare, a distanza di quasi cinque anni dall’arresto, nel processo dove il suo nome è legato a gravi accuse, a pacchi di presunte tangenti che avrebbe preso dall’ex titolare di Villa Pini. Non c’era il grande accusatore Angelini, nell’udienza di ieri, quando Del Turco è stato messo sotto torchio dai pm Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli che, senza fronzoli, alle 10, con Del Turco che aveva appena giurato, pronunciato il suo nome e fatto l’elenco dei suoi tanti incarichi – sindacalista, ex ministro delle Finanze e presidente della Regione – sono andati al cuore dell’accusa: «Del Turco, è vero che riceveva Angelini a Collelongo?». «Sì, lo confermo», ha risposto. «Ma nessuna busta è stata mai portata a Collelongo e non ho mai sentito il dovere di pagare 200 mila euro con 5 mele: ho vergogna per questo teatrino». «Non sono io quello della foto, è una porta». Rude, accompagnato solo da una cartellina con pochi fogli, a un tratto richiamato dal presidente del collegio Carmelo De Santis – «stia composto» – l’ex presidente precipitato il 14 luglio 2008, nome simbolo dell’inchiesta sulla sanità abruzzese, ha deposto da imputato per oltre quattro ore, iniziando a smentire quelle presunte tangenti da 5,5 milioni di euro che la procura gli contesta di aver preso insieme al suo ex braccio destro Lamberto Quarta e all’ex consigliere Pd Camillo Cesarone soffermandosi, poi, sulle cartolarizzazioni, sul rapporto con le cliniche, sull’attività di risanamento della sanità della sua giunta. «Angelini è stato quattro volte da me perché aveva paura, diceva che Bellelli lo voleva arrestare e in due casi mi chiese se da ex ministro potevo ammorbidire la Guardia di finanza», ha spiegato l’ex presidente, nato a Collelongo, 68 anni, accusato di associazione per delinquere, corruzione, vari episodi di concussione. Tra questi, quello simbolo dell’inchiesta è diventata la presunta tangente da 200 mila euro che Angelini avrebbe portato a Del Turco a Collelongo –accompagnato dal suo autista – il 2 novembre 2007, fotografando i soldi e la busta di mele con cui sarebbe uscito dalla casa. La parola di Angelini è la guida della procura che l’ha cristallizzata nell’incidente probatorio e l’ha rinverdita nelle tante deposizioni tra cui quelle dell’autista di Villa Pini. Ma quella ricostruzione, per l’ex presidente, sarebbe bugiarda perché, come ha spiegato: «Intanto escludo un incontro il 2 novembre. Non ci sono stati mai soldi, mai mele. Nessuno che è venuto a casa mia è rimasto sull’uscio, non sono maleducato. Quello della foto non sono io e anche il presidente del collegio ha detto, nell’udienza in cui depose l’autista, che c’era una differenza tra me e una porta. Non ho mai visto l’autista di Angelini, non lo conosco. Angelini», ha chiuso il discorso Del Turco, «è venuto da me perché era preoccupato, era ossessionato dal suo fallimento: questi erano i suoi temi. Un’altra volta», ha raccontato ancora, «venne a casa mia per invitarmi al matrimonio della figlia dicendomi che sapeva che non sarei andato perché, di norma, non vado ai matrimoni. Mi voleva perché era ossessionato dall’idea che lo inseguissero». «La Regione bancomat delle cliniche». Del Turco, sollecitato dalle domande dei pm e poi del suo avvocato Gian Domenico Caiazza, ha parlato di alcuni incontri con l’ex presidente della procura generale della Corte d’Appello dell’Aquila Bruno Paolo Amicarelli, di un incontro con l’ex procuratore di Pescara Nicola Trifuoggi, dei suoi rapporti con la Guardia di finanza fino all’ex presidente della Fira Giancarlo Masciarelli. «Ad Amicarelli a cui mi legava un rapporto di stima», ha illustrato, «spiegai che Regione avevo trovato, una Regione che negli ultimi 5 anni non era riuscita a concludere i bilanci. La cosa più singolare è stata la cartolarizzazione che includeva i crediti non performing: la Regione era diventata il bancomat delle cliniche». Masciarelli? «Non lo conoscevo», ha risposto Del Turco, «ma quando Luciano D’Alfonso me lo presentò gli dissi subito che doveva lasciare la presidenza della Fira e che se, voleva, poteva fare il consulente della giunta. Il tema era il piano di rientro non la cartolarizzazione». E’ qui che l’imputato ha iniziato a parlare del percorso della sanità sotto la sua giunta, di come la Regione fosse riuscita a uscire dalle «cinque Regioni canaglia» e del «mio piano di rientro che vanta imitatori». Il pm: «Vuole i complimenti?» «Non le farò certo i complimenti», gli ha risposto il pm Di Florio a cui l’ex presidente ha replicato: «Ne sarei felice se lo facesse». E’ stata un’udienza piena di malizie, quella di ieri del processo sanità che, in questi quasi 2 anni di dibattimento, ha ospitato urla, scintille tra pm e avvocati ultimamente sedati dal presidente del collegio. Del Turco, che varie volte ieri è stato invitato da De Santis a non divagare, ha raccontato poi della cartolarizzazione. «Escludo che Masciarelli abbia avuto un ruolo determinante, la base della cartolarizzazione l’ha fatta l’ex assessore alla sanità Bernardo Mazzocca». «La cena del capretto». E’ all’ex procuratore della Repubblica di Pescara Trifuoggi – guida dell’accusa dell’inchiesta sanità prima di andare in pensione – che Del Turco ha raccontato di essersi rivolto «quando era nell’aria un provvedimento di custodia cautelare per Masciarelli. Chiesi di permettere a Masciarelli di partecipare alla comunione del figlio e per gratitudine il padre di Masciarelli mi invitò a cena». E’ «la cena del capretto» in cui per l’ex presidente si parlò di arte: «Dissi a Masciarelli che aveva la peggiore collezione di disegni di Cascella». «Ammazzare il vitello grasso». E’ sulla delibera con la Deutsche Banck e sulla maniera in cui l’ex presidente era arrivato a incontrare i dirigenti della banca che De Santis ha invitato più volte Del Turco a non divagare, mentre l’imputato continuava a raccontare dell’«occasione persa, quella che offriva una grande banca venendo a fare operazioni in Abruzzo: a me affascinava il tema del porto». Si è tornati poi ad Angelini, ai rapporti con l’Aiop e con Luigi Pierangeli ed è in questa fase che Del Turco, rispondendo alle domande di Tommaso Marchese, difensore dell’Associazione italiana ospedalità privata (Aiop), e di Sergio Menna, legale di Angelini, ha raccontato il suo spaccato della sanità: «La novità dell’Aiop», ha detto, «era di trovare un’associazione che voleva o coodecidere con la Regione o avere potere di veto. Questo con me non era possibile. In Abruzzo», ha aggiunto, «non si poteva più continuare come nel passato, non era più possibile dividersi l’indivisibile. Allora c’erano due possibilità: o una cura di dimagrimento per tutti o quella prevalente dell’Aiop che diceva “basta che muore il vitello grasso, Angelini, e tutti possiamo vivere meglio”». Ancora sull’Aiop: «Per 3 anni», ha concluso, «sono stato sottoposto da questi signori che non volevano cambiare nulla a un massacro e per questo sono finito sotto una gragnuola di colpi». Alle 14, la domanda conclusiva del pm sempre sulle presunte tangenti: «Non hai mai ricevuto nulla di materiale da Angelini?». «No», ha risposto Del Turco, «solo un invito per un matrimonio, neanche i confetti». Dopo Del Turco, è stato interrogato Quarta che si è difeso giudicando «inverosimile» la tangente che gli viene addebitata. Il processo sanità torna oggi.