Presidente Berlusconi, perché gli italiani dovrebbero votarla ancora una volta? «L’Italia è davanti ad una scelta decisiva: o la sinistra di Bersani e Vendola, la sinistra delle tasse e della spesa pubblica, la sinistra ostile all’impresa e all’iniziativa privata, la sinistra più arretrata d’Europa, oppure noi, la grande alleanza dei moderati, dei cattolici liberali, noi che abbiamo governato per quasi dieci anni tenendo i conti in ordine, senza mai mettere le mani nelle tasche degli italiani». È ottimista? «Gli italiani sapranno scegliere. E stanno comprendendo anche una cosa importante: la coalizione di Monti con Fini e Casini non ha alcuna possibilità di vittoria e si prepara già da tempo a fare da stampella alla sinistra. Aggiungo una notazione sul partitino di Oscar Giannino, "Fermiamo il declino". In tutti i sondaggi è stimato all’1,4 per cento. Non arriverà mai al 4 per cento necessario per ottenere una rappresentanza in Parlamento. Tutti gli elettori che compongono questo 1,4 per cento sono dei moderati che quindi Giannino sottrae esclusivamente alla nostra coalizione di centrodestra favorendo così la sinistra. Mi permetto di rivolgere al "liberale" Giannino un appello di tutto cuore: ritiri la sua lista, non si renda colpevole di un aiuto, magari determinante, alla sinistra». Quanto peseranno le sue passate esperienze di governo? «Nel 2001 e nel 2008 ho firmato due contratti con gli italiani. Se non avessi adempiuto agli impegni contenuti in quei contratti non mi sarei potuto ripresentare alle elezioni successive. Se sono ancora qui quegli impegni li ho rispettati in pieno. Per me la prima moralità in politica è mantenere gli impegni assunti con gli elettori». Ma i suoi sostenitori si aspettavano di più. «Volevo fare di più, volevo modernizzare il Paese e una vera rivoluzione liberale. Non mi è stato possibile per tre motivi. Innanzitutto i piccoli partiti a cui gli italiani hanno dato il loro voto si sono sempre messi di traverso perché non agiscono mai guardando all’interesse generale, ma preoccupati invece solo del loro interesse particolare che si identifica sempre con l’ambizione politica dei loro piccoli leader. Gli italiani devono essere consapevoli che il voto dato a Giannino, a Fini, a Monti e a Casini non è soltanto inutile ma anche dannoso, perché sottrae voti alla coalizione dei moderati in favore della sinistra». Il secondo motivo? «La Costituzione italiana non dà al presidente del Consiglio la possibilità di cambiare un ministro, di utilizzare a proprio giudizio il decreto legge, di ottenere dal Parlamento l’approvazione di un disegno di legge in un tempo ragionevole. Solo se un unico partito otterrà, da solo, la maggioranza in parlamento potrà cambiare la struttura della Costituzione e far diventare l’Italia un Paese pienamente governabile come le altre democrazie occidentali. Sono gli elettori italiani quindi che devono imparare a votare e che tengono nelle loro mani il nostro destino». La terza ragione della sua difficoltà a cambiare il Paese? «In quasi vent’anni per cercare di eliminarmi dalla vita politica la magistratura è scesa in campo e ha tentato e tenta di colpirmi attentando al mio ruolo politico ed istituzionale, come nel '94, alla mia immagine, al mio patrimonio e alla mia libertà personale. Qualcuno ha anche attentato ala mia vita e tanti hanno tradito la fiducia che avevo riposto in loro. Nonostante tutto io sono ancora qui deciso a combattere per il mio Paese e per la libertà, la sicurezza, il benessere e la felicità dei miei concittadini». I sondaggi la danno in rimonta: se lo aspettava? «Devo dire di sì. Non se lo aspettava invece la sinistra, che pensava di aver già vinto. La stessa illusione di Occhetto nel 1994. Nel momento in cui abbiamo ricominciato a parlare agli italiani, abbiamo ricominciato a crescere di 2 o 3 punti a settimana. Oggi l’istituto più serio, Euromedia, ci dice che il distacco fra noi e la sinistra è ridotto a 2,6 punti. E mancano ancora tre settimane alle elezioni. E infatti adesso i nostri avversari hanno paura». Grillo aumenta i consensi e Ingroia forse supererà il 5%. In caso di necessità sarebbe pronto a sottoscrivere un patto di governo con Bersani? O meglio con Monti come sostiene chi dice di conoscerla bene? «Non ce ne sarà bisogno, perché le elezioni le vinceremo noi. E comunque la stagione dei grandi accordi di governo è finita per sempre: le nostre idee per uscire dalla crisi sono opposte non solo a quelle di Bersani, ma anche a quelle di Monti, che ha gravato di tasse gli italiani e che ha realizzato una riforma del lavoro che ha creato il record della disoccupazione giovanile». Cosa farebbe per far ripartire la crescita economica del Paese e far calare la disoccupazione che è ai massimi storici? «Cambieremo radicalmente la politica dell’austerità consigliata dall’Unione Europea a trazione tedesca e cercheremo di applicare concretamente la sempre valida e attuale ricetta liberale dell’equazione del benessere. Meno tasse sulle imprese, sulle famiglie e sul lavoro. Uguale a più consumi, più produzione, più posti di lavoro. Uguale a più entrate per lo Stato che potrà così aiutare chi è rimasto indietro. Si deve dunque partire dalla riduzione delle tasse sulle imprese, sulla famiglia e sul lavoro perché meno tasse significa far crescere i consumi, quindi dare lavoro alle imprese e far ripartire l’occupazione. Un circolo virtuoso, che conviene anche ai conti pubblici. Se la gente sta meglio, se sono di più quelli che pagano le tasse, e se è necessaria meno cassa di integrazione, il bilancio dello Stato migliora. Al tempo stesso, naturalmente, bisogna ridurre gli sprechi. C’è un dato molto eloquente: lo Stato italiano costa ad ogni cittadino 4.500 euro l’anno. Lo Stato tedesco costa 3.000 euro. Ci sono 1.500 euro di differenza, ed è difficile sostenere che lo Stato italiano funzioni meglio di quello tedesco. In quei 1.500 euro di differenza ci sono spese da tagliare e sprechi da eliminare». Come ridisegnerebbe il sistema fiscale italiano? «Semplificandolo e alleggerendolo con una riforma fiscale che, per cominciare, prevedesse due sole aliquote Irpef, al 23% e al 33%, naturalmente conservando l’esenzione totale sotto un certo reddito. I cittadini, tutti i cittadini, pensano che, essendo le imposte il corrispettivo che il cittadino deve pagare allo Stato in cambio dei servizi che lo Stato gli fornisce, una richiesta dello Stato sino al 33 per cento dei loro guadagni sia giusta ed accettabile. Se la richiesta è superiore la sentono come ingiusta e, se si supera il 50 per cento del loro reddito, addirittura immorale, si sentono quindi in qualche modo giustificati nel mettere in atto pratiche tendenti all’elusione. Un simile atteggiamento è certo da sanzionare, lo ripeto, ma la realtà è proprio questa». Quali sono i primi tre provvedimenti che approverebbe nel primo Consiglio dei ministri? «Abolizione immediata dell’Imu sulla prima casa. Cancellazione delle misure più odiose e da stato di polizia fiscale mediante la revisione radicale del redditometro e l’innalzamento del limite di mille euro per l’uso del contante. Ancora: zero tasse e zero contributi per le piccole aziende che assumono a tempo indeterminato un giovane o un disoccupato, con l’obiettivo di ridurre fortemente la disoccupazione, soprattutto dei giovani. Un’altra riforma fondamentale da fare è quella dell’architettura istituzionale dello Stato, con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, per rendere il nostro Paese governabile. Ma per questa riforma fondamentale occorre più tempo». La famiglia. Al di là della retorica, in Italia è piuttosto penalizzata. Cosa farebbe per sostenere soprattutto le giovani coppie? «Oggi un giovane che vuole creare una famiglia ha davanti a sé un vero percorso a ostacoli. Prima di tutto deve trovare un lavoro stabile, senza il quale è impossibile accendere un mutuo per acquistare una casa. Proporremo ai cinque milioni di imprese italiane di assumere almeno un collaboratore disoccupato con uno sgravio fiscale e contributivo totale per un certo numero di anni. Per le giovani coppie reintrodurremo il bonus bebé, un concreto aiuto economico quando nasce un bambino, una misura che era già stata varata dal nostro precedente governo e abrogata da chi ci aveva sostituito. Per consentire ai genitori di scegliere la scuola migliore per i propri figli, la scuola pubblica o privata più conforme ai propri principi educativi, reintrodurremo in tutta Italia quel "buono scuola" che abbiamo già sperimentato in Lombardia».
Oggi il «regalo» alle famiglie. Maroni: «Bene Silvio sull’Europa». A Milano l’annuncio sugli sgravi
Se ne è parlato parecchio nei giorni scorsi. L’appuntamento è oggi alle 12 a Milano durante una conferenza stampa al centro congressi della Fiera. Silvio Berlusconi ha promesso una «sorpresa». Sarà una proposta shock, garantiscono alcuni fedelissimi del Cavaliere. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha aumentato la suspance: «Berlusconi farà una proposta molto importante per la prosperità e il benessere dei cittadini». Interviene anche il segretario della Lega, Roberto Maroni: «Sono sicuro, gli ho parlato, ma non lo dico: so tutto, ma non dico niente, ho giurato il segreto». Poi, tornando sul terreno politico, l’ex ministro dell’Interno ha ribadito: «Mi pare che Berlusconi stia venendo su posizioni nostre, come sempre avvenuto con le buone idee della Lega». Maroni si riferisce alle dichiarazioni rilasciate dall’ex premier due giorni fa, secondo le quali occorre evitare di piegarsi ai diktat della Germania, in Europa, altrimenti ciascun Paese sarà costretto a uscire dall’euro e tornare alla moneta nazionale. Il Cavaliere, ha sostenuto il segretario federale della Lega Nord, conversando con i giornalisti durante un incontro con i commercianti e i residenti del quartiere Isola, a Milano, «dice cose che noi abbiamo detto tempo fa, quando abbiamo sostenuto che, dalla crisi economica, non si può uscire baciando le pantofole della Bce». Insomma, «ben venga questo atteggiamento critico - ha proseguito Maroni - noi critichiamo questa Europa che non funziona e vogliamo diversa, una Europa della Regioni». Le stesse frasi non sono piaciute invece al presidente della Camera, Gianfranco Fini: «È una dichiarazione irresponsabile perché uscire dall’euro rappresenterebbe soprattutto per un Paese come il nostro un danno di carattere economico con delle conseguenze sociali ancor più gravi. Ma soprattutto - ha aggiunto Fini - se un grande Paese come l’Italia uscisse dall’Euro andrebbe in pezzi quel faticoso e importantissimo processo di integrazione europea che si è realizzato negli ultimi anni. Processo nel quale l’Italia ha avuto un ruolo centrale». Anche il leader di Sel, Nichi Vendola, se la prende con il Cavaliere: «La legge sul conflitto di interessi tante volte invocata e troppe volte rinviata rappresenta davvero uno spartiacque nella storia politico culturale del nostro paese. Siccome il berlusconismo è stata una potente forma di violazione di qualunque idea di separazione tra interessi pubblici e interessi privati (anzi ha rappresentato un formidabile uso privato dello Stato); siccome il mancato appuntamento con questa norma di legalità ha rappresentato non soltanto un’esibizione di onnipotenza da parte della destra, ma anche la più masochistica esibizione di impotenza da parte del centrosinistra: ecco, per tutte queste ragioni non possiamo che partire di qui. Solo il varo di un’efficace normativa contro i trust e contro i conflitti di interessi può rappresentare il congedo effettivo dal Ventennio che ci sta alle spalle e che anzi ci sta sulle spalle». È invece Stefania Prestigiacomo a suonare la carica: «Il fenomeno Grillo si sta ridimensionando da solo. I partiti tradizionali non mettono in lista chi non è preparato. Tante persone accorrono in piazza per ascoltare il comico, e poi restano deluse dai candidati che si avvicendano sul palco. Assistiamo - ha aggiunto l’ex ministro - a una splendida rimonta da parte di Berlusconi nei confronti del Pd la cui politica economica sarà dettata dalla Cgil. Perde terreno Monti, che punta ad allearsi con la sinistra solo per ottenere una poltrona. Noi pensiamo a fatti concreti. Dobbiamo invertire la spirale recessiva, ridurre il costo dello Stato con riforme radicali. Vogliamo ridurre la pressione fiscale nell’arco di cinque anni e inizieremo con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Se ripartono i consumi si rimette in moto l’economia».