Silvio Berlusconi riparte dall’ottobre 2011, quando negli ultimi giorni del suo governo propose un nuovo maxi-condono fiscale.
In quegli ultimi giorni convulsi, prima dell’avvento del governo tecnico, circolò anche una bozza che prevedeva ben 12 sanatorie ma il progetto si scontrò con l’opposizione di Giulio Tremonti. Lo stesso ex ministro dell’Economia che oggi mette in dubbio la possibilità di restituire l’Imu, ma che tra il 2001 e il 2009 era stato il principale artefice operativo delle operazioni di perdono fiscale.
LA TRADIZIONE
Per la verità, Berlusconi e Tremonti avevano raccolto il testimone di una tradizione ben consolidata nel nostro Paese, assai incline alla clemenza verso i contribuenti infedeli. Nei primi anni dello scorso decennio le sanatorie sono state presentate come un modo per affrontare le esigenze del bilancio pubblico nei momenti difficili, in attesa della ripresa dell’economia. Si è iniziato con lo scudo fiscale, ossia la possibilità di far rientrare in Italia (o anche semplicemente di regolarizzare) i capitali illegalmente esportati all’estero.
Ha fruttato poco più di due miliardi. Ma nell’autunno del 2002 il governo ha rilanciato con una grande sanatoria fiscale a tutto campo: il piatto forte era il condono tombale, quello che metteva al riparo il contribuente da futuri accertamenti; ma c’erano anche la definizione di omessi o ritardati versamenti, la chiusura di liti fiscali pendenti, il concordato per gli anni pregressi e misure decisamente minori come la regolarizzazione del canone Rai.
I RISULTATI
Il risultato per le casse dello Stato è stato notevole. La Corte dei Conti ha calcolato che le misure definite a fine 2002 e poi applicate nei due anni successivi hanno portato alla dichiarazione di ben 26 miliardi di euro. Ma gli stessi magistrati contabili hanno fatto rilevare che non tutti questi soldi sono stati effettivamente versati: nel 2008 mancavano ancora all’appello 5,2 miliardi. La norma prevedeva che il condono fosse efficace già con il pagamento della prima rata; così molti una volta ottenuta l’estinzione della controversia non hanno poi pagato il resto.
Somme che oggi l’Agenzia delle Entrate cerca faticosamente di recuperare, anche se nel frattempo molti soggetti risultano falliti o non più rintracciabili. A fine 2010 era stato racimolato un altro miliardo.
Ne mancherebbero quindi ancora 4,2: a metà 2011 sono stati allungati i tempi dell’accertamento e in questi giorni dovrebbero partire nuove cartelle. Nel frattempo c’è stato (tra il 2003 e il 2005) un condono edilizio che ha fruttato poco più di 5 miliardi e che i politici campani in ogni occasione cercano di riaprire per la propria Regione. Mentre la Corte di Giustizia europea ha dichiarato illegittime per il futuro le sanatorie relative all’Iva.
Lo scudo fiscale del 2009-2010, con i suoi 5,6 miliardi di incassi, ha chiuso la stagione del perdono. Per ora.
In quegli ultimi giorni convulsi, prima dell’avvento del governo tecnico, circolò anche una bozza che prevedeva ben 12 sanatorie ma il progetto si scontrò con l’opposizione di Giulio Tremonti. Lo stesso ex ministro dell’Economia che oggi mette in dubbio la possibilità di restituire l’Imu, ma che tra il 2001 e il 2009 era stato il principale artefice operativo delle operazioni di perdono fiscale.
LA TRADIZIONE
Per la verità, Berlusconi e Tremonti avevano raccolto il testimone di una tradizione ben consolidata nel nostro Paese, assai incline alla clemenza verso i contribuenti infedeli. Nei primi anni dello scorso decennio le sanatorie sono state presentate come un modo per affrontare le esigenze del bilancio pubblico nei momenti difficili, in attesa della ripresa dell’economia. Si è iniziato con lo scudo fiscale, ossia la possibilità di far rientrare in Italia (o anche semplicemente di regolarizzare) i capitali illegalmente esportati all’estero.
Ha fruttato poco più di due miliardi. Ma nell’autunno del 2002 il governo ha rilanciato con una grande sanatoria fiscale a tutto campo: il piatto forte era il condono tombale, quello che metteva al riparo il contribuente da futuri accertamenti; ma c’erano anche la definizione di omessi o ritardati versamenti, la chiusura di liti fiscali pendenti, il concordato per gli anni pregressi e misure decisamente minori come la regolarizzazione del canone Rai.
I RISULTATI
Il risultato per le casse dello Stato è stato notevole. La Corte dei Conti ha calcolato che le misure definite a fine 2002 e poi applicate nei due anni successivi hanno portato alla dichiarazione di ben 26 miliardi di euro. Ma gli stessi magistrati contabili hanno fatto rilevare che non tutti questi soldi sono stati effettivamente versati: nel 2008 mancavano ancora all’appello 5,2 miliardi. La norma prevedeva che il condono fosse efficace già con il pagamento della prima rata; così molti una volta ottenuta l’estinzione della controversia non hanno poi pagato il resto.
Somme che oggi l’Agenzia delle Entrate cerca faticosamente di recuperare, anche se nel frattempo molti soggetti risultano falliti o non più rintracciabili. A fine 2010 era stato racimolato un altro miliardo.
Ne mancherebbero quindi ancora 4,2: a metà 2011 sono stati allungati i tempi dell’accertamento e in questi giorni dovrebbero partire nuove cartelle. Nel frattempo c’è stato (tra il 2003 e il 2005) un condono edilizio che ha fruttato poco più di 5 miliardi e che i politici campani in ogni occasione cercano di riaprire per la propria Regione. Mentre la Corte di Giustizia europea ha dichiarato illegittime per il futuro le sanatorie relative all’Iva.
Lo scudo fiscale del 2009-2010, con i suoi 5,6 miliardi di incassi, ha chiuso la stagione del perdono. Per ora.