Iscriviti OnLine
 

Pescara, 19/12/2025
Visitatore n. 750.346



Data: 05/02/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
«D’Alfonso, nessuna prova». Processo Housework. L’arringa della difesa: «Perseguìta la persona, non i fatti»

«Si dimise davanti al Pm per evitare la gogna, fu inutile». Sentenza lunedì prossimo

PESCARA Luciano D'Alfonso deve essere assolto con la formula piena perché ha fatto soltanto il bene di Pescara. È la conclusione dell’arringa dell’avvocato Giuliano Milia nel processo per presunte tangenti sui grandi appalti al Comune. La sentenza si conoscerà lunedì prossimo. «I capi di imputazione -ha detto il difensore- non sono supportati da prove». Milia ha sottolineato che «nel processo bisogna perseguire il fatto e non il soggetto altrimenti si dà un pessimo contributo alla giustizia». Insomma D’Alfonso non è quel «regista spregiudicato» rappresentato dall’accusa, ma un amministratore che ha fatto eseguire 500 opere pubbliche e che ha una «credibilità nel consesso cittadino e nazionale». E ancora: «In questo processo abbiamo sofferto per evitare il provvedimento cautelare. Quando ci furono le prime avvisaglie D’Alfonso si sottopose all’interrogatorio del Pm e alla fine sottoscrisse davanti a lui le dimissioni da sindaco che avremmo depositato il giorno successivo alle elezioni regionali del 2008. Ritenevamo così di aver evitato la gogna, ma il Pm ritenne di mandare avanti la richiesta di arresto che era stata già depositata».

IL PROCESSO
Luciano D'Alfonso deve essere assolto con la formula piena perché ha fatto soltanto il bene della città di Pescara. È la conclusione dell’arringa dell’avvocato Giuliano Milia che ieri ha concluso il processo a carico dell’ex sindaco e di altri 23 imputati per presunte tangenti sui grandi appalti al Comune. La sentenza si conoscerà lunedì prossimo. «I capi di imputazione - ha detto il difensore - sembrano una poesia quando si leggono, ma non sono fatti supportati da prove, sono soltanto idee di un pubblico ministero mai domo, un lottatore bravo e capace che però durante il dibattimento ha cambiato più volte strategia».
E a dimostrazione delle sue argomentazioni, Milia ha esaminato i vari capi di imputazione, senza evitare una stoccata all’accusa rappresentata da Gennaro Varone che «ha avuto una particolare determinazione ad agire contro D'Alfonso che non si giustifica con la lettura degli atti. Nel processo, così come ha sottolineato anche il procuratore generale della Cassazione, bisogna perseguire il fatto e non il soggetto altrimenti si dà un pessimo contributo alla giustizia».
LA SQUADRA D’ALFONSO
E parte proprio dall’associazione per delinquere: «Se la squadra d’azione è quella che emerge dal processo allora dobbiamo dire che ha grossi meriti: dobbiamo parlare semmai di un pool che ha amministrato nell’interesse della cosa pubblica e la descrizione che ne ha fatto il Pm non è rispondente al vero ed è ingenerosa». Insomma D’Alfonso non è quel «regista spregiudicato» rappresentato dall’accusa, ma un amministratore che ha fatto eseguire 500 opere pubbliche e che ha una «credibilità nel consesso cittadino e nazionale».
Il cemento del processo, secondo la difesa D’Alfonso, dovrebbe essere proprio il reato associativo, ma «lì si è visto - spiega Milia - l'assoluta mancanza di elementi di prova. La sua matrice è dare forza ai singoli reati, ma è anche un reato autonomo per il quale bisogna indicare i promotori, i partecipanti, il meccanismo, tutte cose che non sono state provate. E il primo requisito è quello della partecipazione di tutti e dunque anche di D'Alfonso. Cosa che non si può desumere dal fatto che essendo il sindaco non poteva non sapere, occorre il concorso sotto il profilo materiale». Il difensore parte attaccando la nomina di Dezio a dirigente e sottolineando come per quella nomina sia intervenuta una assoluzione piena per Dezio in un precedente processo e quindi fu legittima. Milia legge l’accusa di associazione e contestata riga per riga il reato: dall’attribuzione dei compiti allo stesso Dezio, a Leombroni (che erano peraltro risalenti al 2003 e quindi antecedenti l'arrivo di D'Alfonso in Comune), all’associazione Europa Prossima che non è di D'Alfonso, ma della Margherita; dal cambio di alcuni dirigenti come Carugno e Di Ludovico, fatti soltanto nell'interesse dell'amministrazione, alla famosa lista Dezio con quell’elenco di imprenditori con a fianco la scritta B o N a seconda se si trattava di soldi dati in bianco o in nero, stando alla ricostruzione che ne ha fatto l'accusa. «Se i contributi in bianco per l'accusa sono soldi finiti al partito, perché quelli in nero dovrebbero essere finiti in tasca a Dezio? Sono soltanto previsioni non andate a buon fine. È soltanto un bel film dell’accusa, ma non supportato da prove».

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it