Il caso Pomigliano «L’errore della Fiat fu non prevedere l’aggravarsi della recessione»
«Non è dignitoso per nessuno ricevere un salario essendo al tempo stesso richiesti di rimanere a casa». Mentre i 19 opera della Fiat reintegrati si sono presentati per il secondo giorno ai cancelli di Pomigliano per entrare ma se ne sono dovuti tornare a casa, il ministro del Lavoro Elsa Fornero interviene. «Non posso che concordare in maniera piena e totale con quanto espresse il presidente della Repubblica, Napolitano», quando nel 2010 scrisse una lettera di sostegno ai 3 operai Fiom della Fiat di Melfi che si trovano nella stessa situazione dei lavoratori di Pomigliano d'Arco: reintegrati, ma non riammessi in fabbrica dall'azienda. Quindi solidarietà ma nessuna azione concreta perché, ribadisce, «prendere delle misure per un Governo in uscita non sarebbe possibile». L’unica cosa che può fare è «lanciare un appello «al dialogo perchè nella contrapposizione si esce sempre tutti perdenti». Poi ribadisce che se un errore fu commesso da Marchionne «è non aver avuto la capacità di prevedere ciò che poi è accaduto, ovvero un aggravarsi così pesante delle condizioni di mercato e della recessione». Ma il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, insiste: «Bene le parole del ministro Fornero ma ora il governo convochi le parti» e avverte che se l’azienda continuerà a lasciare fuori dalla fabbrica gli operai reintegrati, è possibile che la Fiom intraprenda nuove azioni legali e che si rivolga direttamente al presidente della Repubblica Napolitano. Intanto l’avvocato della Fiom, Piergiovanni Alleva, giuslavorista, docente di diritto del lavoro all'Università delle Marche, affer,a che «per i 19 operai di Pomigliano che devono tornare al lavoro ci sono state continue vessazioni, compreso farli stare 8 ore in una stanza completamente vuota senza neanche una sedia: è chiaro che si tratta di discriminazione al quadrato». Poi annuncia che con il sindacato sta valutando che azioni intraprendere. «La stessa sentenza della Corte di Appello -ricorda Alleva- impone alla Fiat anche l'assunzione di altri 126 operai entro maggio. Ma Marchionne -dice il giuslavorista - ha deciso dal 1° marzo il trasferimento d'azienda di Fabbrica Italia Pomigliano a Fiat Group Automobiles: un modo per non assumere nessuno e mettere tutti in cassa integrazione». Questo, secondo l’avvocato, è «il vero motivo della resistenza opposta ai 19 operai: non assumere i 126, come recita la sentenza». Ma il giuslavorista e collaboratore della Gi Group Academy, Luca Insabato, è di una diversa opinione. «Siamo in presenza di una sentenza che non è definitiva, perché non è arrivata all'ultimo grado di giudizio, e su questo può basarsi la Fiat». La giurisprudenza prevalentemente pare affermare che «in un caso del genere agli operai dovrebbero essere riassegnate, con il reintegro, anche le stesse mansioni e non solo il medesimo stipendio. Ma la giurisprudenza ha prodotto sentenze difformi». Secondo il giuslavorista la questione coinvolge in senso più ampio l'articolo 18 dello Statuto.