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Data: 10/02/2013
Testata giornalistica: Il Centro
Sfila a Teramo il corteo degli Antifà. Oltre mille giovani da tutt’Italia a Teramo con striscioni e fumogeni, nessun incidente

TERAMO Se la rabbia avesse un colore, sarebbe un arcobaleno: bandiere bianche e bandiere rosse, striscioni neri, scritte blu su cartelloni bianchi. Se avesse un volto sarebbe quello di una mamma che da un microfono ringrazia chi, in un gelido pomeriggio di febbraio sotto un nevischio insistente, è arrivato da tutta Italia per «il mio Davide che non voleva fare niente di male». Perché la cronaca di un corteo è fatta di immagini, prima ancora che di numeri. E le immagini raccontano che in tantissimi (800 secondo la questura, più di duemila per gli organizzatori ) si sono ritrovati nel capoluogo in un corteo nazionale di protesta organizzato dai gruppi di Azione antifascista per protestare contro le condanne ai cinque teramani accusati di devastazione e saccheggio per l’assalto al blindato di Roma. L’obiettivo della vigilia è stato centrato: nessuno scontro, nessun tafferuglio. In una città blindata da polizia e carabinieri, giovanissimi, ma non solo, hanno sfidato il freddo tra slogan e musica. Ad attenderli negozi chiusi e saracinesche abbassate perché il timore di danneggiamenti ha prevalso sulle rassicurazioni arrivate dalle forze dell’ordine ai tanti commercianti che nei giorni scorsi hanno chiamato polizia e carabinieri. «Restate aperti, non succederà niente» è stata la risposta. Ma molte saracinesche sono rimaste abbassate già dal mattino. Perché il martellamento che si accumula giorno per giorno alla fine frantuma l’informazione, confonde le immagini, crea assuefazione. Quando alle 16 il corteo muove i primi passi da piazza Aldo Moro, il microfono è nelle mani della mamma di Davide Rosci, il leader di Azione Antifascista Teramo, uno dei cinque teramani condannati a sei anni dal tribunale di Roma per gli scontri politici e l’assalto al blindato. «Vi ringrazio per essere venuti per manifestare per mio figlio», dice, «io vorrei dire che Davide e gli altri non volevano fare niente di male, vorrei dire che mio figlio da più di un anno è ai domiciliari. Vorrei fare un appello a tutti: perché queste condanne?». Un applauso e il serpentone si muove scortato da centinaia di poliziotti e carabinieri. In divisa, ma non solo. Ombre che vigilano. A distanza. Il corteo attraversa via Pannella, viale Crispi e ponte San Ferdinando. La testa è in circonvallazione Ragusa, la coda è ancora in viale Crispi: tutt’intorno traffico bloccato, strade deserte, parcheggi vuoti. Slogan e parole fanno da colonna sonora: gli slogan contro il codice Rocco, contro le condanne, le parole dei rappresentanti dei vari gruppi antifascisti arrivati da Roma, Napoli, Milano, Genova. Sono le 17.30 quando attraversa via Oberdan e sbuca in piazza Martiri della Libertà, il cuore del centro storico: la piazza non è vuota, c’è gente e anche qualche negozio aperto. «Non siamo i black bloc», grida qualcuno dal corteo, «non siamo violenti. Questo è il nostro pensiero e pensare non può far paura, non deve far paura». Nuovi slogan, altra musica. Quando alle 16.45 il corteo imbocca piazza Orsini il microfono è nelle mani della fidanzata di Rosci che legge una lettera dell’uomo. Ringrazia chi è con lui, con gli altri condannati. Poi si riparte: corso Cerulli, corso de Michetti, piazza Madonna delle Grazie. Nella piazza a pochi metri dal tribunale ci sono gli autobus con cui i manifestati sono arrivati e con cui ripartiranno. Altri applausi, altri slogan, altri cori intonati per «Davide libero, tutti liberi». Dal camioncino con l’impianto stereo le parole di esponenti di gruppi milanesi che invitano alla manifestazione in programma a marzo nella città lombarda «per portare il nostro pensiero, per non morire». Mancano pochi minuti alle alle 19 quando i primi manifestanti risalgono sugli autobus e la piazza lentamente si svuota. Gli striscioni si ri piegano, le bandiere si arrotolano, lo stereo si spegne, le mani si stringono in un arrivederci. Forse a Milano, tra un mese. Tutt’intorno carabinieri e poliziotti, un blindato. Questa volta nessuno scappa, nessuno urla, nessuno tira pietre.

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