Il Professore sconfessa chi tra i suoi pensa di appoggiare Ambrosoli. Attacca Bersani: si scordi il mio appoggio se sul lavoro vince Vendola
ROMA Il risultato del voto in Lombardia, col suo doppio risvolto per la guida della più importante Regione italiana e per il premio di maggioranza al Senato, diventa sempre più centrale nello scorcio finale della campagna elettorale. E Mario Monti, preso in contropiede dall’invito di diversi esponenti di Scelta Civica per il voto disgiunto a favore del candidato del centrosinistra alla presidenza del Pirellone, Umberto Ambrosoli, corre ai ripari confermando il suo pieno appoggio a Gabriele Albertini. «Non condivido - dice il premier a TgCom 24 - la logica del voto utile o inutile. Quindi auspico che coloro che voteranno Scelta Civica a Camera e Senato votino per il nostro candidato Albertini». Il Professore non disconosce che «esiste indubbiamente un pericolo Maroni in Lombardia», ma nello stesso tempo è convinto «che Albertini tolga più voti a destra che a sinistra e che aiuti a impedire che la civilissima Lombardia finisca nelle mani di Maroni». In conclusione, per Monti, gli endorsement pro-Ambrosoli dei suoi sono da considerare «a titolo personale» poiché la posizione ufficiale di Scelta Civica resta quella a favore di Albertini.
UN GRANDIOSO MAGO
Sistemate le faccende in casa propria, il premier punta le artiglierie contro il suo principale avversario, che - dice - è «il mio predecessore, che ritiene di essere anche il mio successore». E contro il quale dirige una secca bordata: «Continua a fare promesse: in realtà, sta cercando di comperare i voti degli italiani con i soldi degli italiani». L’accusa non potrebbe essere più dura contro Silvio Berlusconi, che lo stesso Professore definisce «un grandioso mago carismatico», il cui ritorno, afferma, «è verissimo che sia temuto in Europa, perché ne hanno avuto abbastanza di un’Italia che rischia, con la fragilità politica, l’incapacità di decidere e l’indisciplina finanziaria di mettere ancora a rischio se stessa, l’Eurozona e l’Europa».
La verve polemica del Professore si esercita anche sul fronte opposto, quando assicura che il Pd «può scordarsi il nostro appoggio a un governo in cui non prevalgano posizioni di riforma, soprattutto sul mercato del lavoro». E dal momento che, su questo terreno, l’intoppo sono Sel e Vendola, Monti mette in chiaro di «non sentire nessuna affinità con una sinistra che includa elementi che non sono a favore degli interessi dei lavoratori. E che con le loro rigidità condannano i giovani alla disoccupazione o all’emigrazione». Escludendo quindi un’alleanza con Sel, il premier osserva che, contro questa ipotesi, «è Vendola che si è espresso più volte con grande nettezza, chiarezza e brutalità». Critico anche con Bersani, Monti accusa il leader pd di essere stato «un po’ infantile» nel definire una «vittoria di Pirro» il risultato del vertice sul bilancio della Ue, «perché Cameron si è detto contento delle conclusioni della riunione: è chiaro - sottolinea il premier - che ognuno tende a presentare nel proprio Paese gli aspetti positivi del risultato, ma poi sono in numeri a contare».
Attribuita ai suoi avversari, sia pure in diversa misura, una spiccata propensione a fare promesse che non sarà possibile mantenere, Monti fa risalire a questa abitudine dei professionisti della politica il fatto che «nessuno dei miei illustri antagonisti politici vuole fare un confronto con me. Confronto al quale, fin dal primo giorno mi sono dichiarato disponibile».