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Pescara, 19/12/2025
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Data: 12/02/2013
Testata giornalistica: Il Centro
Processo D’Alfonso, tutti assolti. Applausi in aula alla sentenza, l’ex sindaco piange al telefono con il suo legale. Escono di scena Dezio e i Toto

PESCARA «Beh, adesso Luciano D’Alfonso a piazza Salotto con la Papamobile». E’ un tripudio l’aula 1 quando alle 12.34 il presidente del collegio Antonella Di Carlo assolve Luciano D’Alfonso e gli altri 23 imputati, spazza via le accuse di tangenti, scandisce l’alfabeto dei capi d’imputazione «assolti per i capi A, B, C...». Lui, il protagonista, a quell’ora se ne sta in raccoglimento nel convento di Leonessa in provincia di Rieti, e piange al telefono con il suo avvocato Giuliano Milia che gli dà la lieta notizia, mentre i duecento sostenitori radunati nell’aula annunciano «la rinascita» di D’Alfonso, come la chiamano, con applausi, abbracci e battute nel giorno delle dimissioni del Papa. «Vi ringrazio tutti, immerso nel vostro affetto. Ci ritroviamo presto», scriverà D’Alfonso nel tardo pomeriggio su Facebook. Tutti assolti. Si è pianto di gioia, nell’aula che ospita i grandi processi e in cui per 45 udienze l’ex sindaco, arrestato il 15 dicembre del 2008, ha respinto le accuse di associazione per delinquere, corruzione e concussione sempre seduto al secondo banco a un palmo dal suo uomo di fiducia Guido Dezio arrestato per un’accusa di tangente da 20 mila euro. Dezio è in lacrime, abbraccia il suo avvocato Marco Spagnuolo, risponde al telefonino impazzito perché anche il dirigente, come gli imprenditori Carlo e Alfonso Toto avvertiti dall’avvocato Augusto La Morgia, come il dirigente Giampiero Leombroni e l’ex portavoce Marco Presutti (difesi da Vincenzo Di Girolamo e, il primo, anche da Lino Sciambra) sono usciti indenni dalla bufera giudiziaria che il pm Gennaro Varone firmò il 15 dicembre 2008. «E’ una cosa che veramente...»: perfino Milia si commuove e non riesce a finire la frase mentre Varone sfila via silenzioso, pietrificato da una sentenza che ha falciato le sue accuse. «Non sono state tangenti». Corruzione, concussione, associazione per delinquere, abuso, peculato; l’appalto per l’area di risulta per i Toto, la villa di Lettomanoppello pagata da D’Alfonso a prezzi stracciati in cambio di appalti, la lista Dezio con quelle N sospette, la squadra d’azione per fini personali: così aveva parlato l’accusa fatta a pezzetti dal presidente del collegio e dai giudici Paolo Di Geronimo e Nicola Colantonio, rientrati in aula puntuali dopo due ore di camera di consiglio, con la sicurezza di una sentenza già in mente che ha assolto con formula piena anche tanti imprenditori come Rosario Cardinale e Massimo e Angelo De Cesaris, e disposto la restituzione a D’Alfonso della sua villa. «Non è stata una squadra d’azione». Neanche due pagine di dispositivo, lette adagio, in un’aula colma di consiglieri ed esponenti del Pd, esplosi in un lungo applauso per poi andare al telefonino a chiamare D’Alfonso. Non è rimasto in piedi nulla dopo quasi 5 anni di inchiesta in cui l’ex amministrazione è stata messa sotto accusa, affondata in rapporti ambigui, «torbidi», come li chiamò il pm, messa alla berlina con l’onta delle tangenti. Quell’amministrazione, ha detto ieri la sentenza, non era una squadra d’azione volta «all’arricchimento personale», l’ex sindaco non «aveva attribuito mandati alla propria squadra» e Dezio o Vincenzo Cirone o Luciano Di Biase non «pilotavano appalti». Il coup de théâtre, D’Alfonso, l’ha riservato tenendosi lontano dall’aula che pure ha sempre frequentato in questi anni. «Ci ritroviamo presto», ha scritto su Facebook annunciando il ritorno in politica.

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