ROMA Un uomo chiamato a un compito altissimo scopre di non sentirsi all’altezza, fugge, vaga per la città pronta a incoronarlo tentando di confondersi con quella folla a cui si sente vicino, forse troppo vicino per guidarla. Fino a riscoprire un’altra dimensione dell’esistere, non la vita stessa ma la sua rappresentazione, che poi era la sua vocazione originaria: il teatro, lo spettacolo, questo «doppio» ritualizzato e così necessario del mondo reale, più ricco, più coerente, e al tempo stesso ancora più fragile e illusorio della vita stessa...
Difficile prendere alla lettera Habemus Papam di Nanni Moretti, anche se dopo il gesto clamoroso di Benedetto XVI è quasi inevitabile. È vero, nel film Michel Piccoli, riacciuffato nel teatrino dove si recitava Il gabbiano di Cechov e riportato a San Pietro, rinunciava al papato dichiarandosi incapace di guidare «una Chiesa che deve avere per tutto capacità di comprensione». Ma Moretti non è certo cineasta da fermarsi alla cronaca.
Il suo Vaticano era quasi una caricatura del Vaticano reale (ma la parola caricatura è riduttiva). L’iperbole di un potere così assoluto da schiacciare e intimorire chi è chiamato a amministrarlo (tutti i cardinali di Habemus Papam sono terrorizzati all’idea di essere fatti papi). Un luogo di assoluta alterità e non meno assoluta, ineluttabile, perfino comica banalità. Insomma una metafora potentissima, allegramente distante dal suo modello, che però come tutte le grandi metafore si presta anche a essere rovesciata. Diventando una lente che non deforma l’oggetto ma lo illumina, gli dà rilievo, né esalta i contorni e la consistenza, in breve ne svela l’essenza.
Cosa rifiutava Michel Piccoli, rinunciando al soglio pontificio? Non il potere, il ruolo, la missione del Papa, ma l’intima convinzione che sola può sorreggere un compito così alto. La coincidenza fra l’immensità della dimensione religiosa e la sua forma visibile. Insomma la Chiesa, con il suo apparato di riti, simboli, ruoli, poteri. In questo senso il Vaticano non era «solo» una metafora e la coincidenza tra i due gesti, quello di Habemus Papam e quello di Benedetto XVI, diventa davvero inquietante. Perché indica un vuoto, una crisi generale oltre che personale. Curiosamente è in arrivo un altro film che testimonia la crisi di rappresentanza di questi anni. Viva la libertà di Roberto Andò. Anche se qui a sparire per un po’, sostituito dal suo gemello filosofo, è il segretario del «più grande partito d’opposizione». L’ennesima coincidenza?