Il leader vede Monti e punta all’incarico: Grillo come Craxi, esagera. Nota con il Prof: ora crescita. Tensione tra sinistra democrat e il sindaco
ROMA Intende fare sul serio, Pier Luigi Bersani. Ed eccolo salire le scale di palazzo Chigi per incontrare Mario Monti: un’ora di colloquio al termine del quale annuncia la presentazione del Piano nazionale per le riforme entro aprile, «ci sarà ora maggiore attenzione alla crescita, al lavoro e all’occupazione», aggiunge convinto. Un Bersani in campo, deciso e determinato a percorrere la strada del Colle stando attento a che non diventi un calvario.
L’AFFONDO
Grillo non ci starà? Il leader del Pd non risponde più con la classica formula «si assumerà le sue responsabilità»; no, adesso la musica cambia, lo spartito diventa un “presto deciso”, acquista i toni di una vera e propria sfida: «Grillo eviti di evocare la piazza e le violenze», quindi la rasoiata, «e soprattutto non dia risposte incappucciate», che evoca sì l’inquietante corsa del comico sulla spiaggia di Bibbona, ma anche rimandi a realtà oscure. Il comico genovese, poco prima, aveva teorizzato che se i CinqueStelle fallissero «ci sarebbe il rischio di violenze». E siccome vorrebbe anche l’incarico, Bersani usa il vetriolo: «E’ arrivato terzo e fa il premier? Allora è come Craxi...». Resta da capire come pensa Bersani di raggiunge un’intesa con i grillini in Parlamento con queste premesse. A meno che l’obiettivo, come altri dentro il Pd paventano, non sia un altro, e cioè puntare a elezioni anticipate e magari anticipatissime con un governo da lui presieduto. Ma resta anche da capire come riuscirebbe a raggranellare una maggioranza presentabile, al netto di operazioni difficilmente ipotizzabili, tipo alcuni grillini che inaugurano la legislatura con una mega operazione Scilipoti di abbandono del proprio gruppo e di adesione alla nuova maggioranza.
IL PARTITO
Su questo nel Pd la battaglia è ancora sotterranea, ma c’è. Bersani si rivolge intanto a Matteo Renzi, e al sindaco che ha pronosticato, al “Messaggero”, una legislatura «che batterà ogni record di brevità», replica: «Sarei più fiducioso sulla sua durata». Sul tema puntualizza il renziano Paolo Gentiloni: «Se l’iniziativa di Bersani non dovesse avere successo, questo non ci porta dritti alle urne, l’iniziativa sarebbe solo del capo dello Stato». Ma è solo un assaggio, e neanche troppo indigesto, rispetto alle cose dette dal duo Fassina-Orfini sempre più nel ruolo di gianburrasca del Nazareno: «Non abbiamo bisogno di nuovi unti dal signore, se si va al voto ci saranno le primarie per la scelta del premier, e non è detto che vinca Renzi, ci sarà una sfida». Con l’aggiunta: è una bufala il ritornello che «con Renzi avremmo vinto». L’analisi dei due è piuttosto che il Pd ha perso consensi soprattutto a sinistra perché troppo appiattito su Monti e relativa agenda, «cosa che Renzi vorrebbe continuare a fare». A difesa di Matteo il giovane scende in campo Antonello Giacomelli, fedelissimo di Franceschini, che rinfaccia a Fassina e Orfini di voler «affossare il tentativo di Bersani», beccandosi poi l’accusa di «regressione culturale» perché punterebbero a «un partito ideologico che guarda solo all’identità del passato, una deriva inaccettabile che stravolge il profilo del Pd».
Aggettivi e toni a parte, è una discussione già di tipo precongressuale, con uno scontro di linee e finanche di identità. Ma tant’è. Al momento non è ancora questo il tempo, se ne parlerà prima dell’estate quando verrà convocata l’assemblea nazionale per istruire la pratica congressuale, come annunciato da Bersani.