ROMA «Non accetto si dica che siamo a caccia di parlamentari», attacca Pier Luigi Bersani e ogni riferimento all’amico Matteo Renzi è voluto e non casuale, visto che era stato il sindaco a parlare di «super operazione Scilipoti» a proposito del tentativo di convincere alcuni cinquestelle a più miti consigli nei confronti del tentativo bersaniano. «Trovo molto discutibile questa trattativa, io comunque le cose le dico alla luce del sole», ribatte il sindaco che non è solito incassare. Il suo portavoce precisa in serata che Renzi si era rivolto ai suoi neoeletti invitandoli a «stare lontani da manifestazioni folcloristiche e trattative discutibili», che non suona poi tanto diverso. Ma tant’è. E’ alta tensione tra segretario e rottamatore, su questioni di linea politica e di prospettive: «Tocca a noi fare questo tentativo di formare un governo, siamo i primi in Parlamento ma non abbiamo i numeri», spiega Bersani davanti agli oltre 400 neo parlamentari riuniti per la prima volta in un cinema. «E’ giusto che Bersani ci provi, ma se non ce la fa è giocoforza si torni alle urne, non credo che questa legislatura avrà una vita lunga», fa da controcanto Renzi. Ci si mette pure una pesante disputa sul partito, sul modo di essere, sugli stipendi dei dipendenti, a peggiorare la situazione, diatriba a suon di accuse di «dossieraggio» destinate a lasciare il segno. «Nessun dossieraggio, io le cose da dire sul finanziamento ai partiti che va abolito le dico alla luce del sole», rintuzza il sindaco intenzionato a non mollare sul nodo dei soldi pubblici ai partiti. Un duello a distanza su fondi ai partiti e sulle alleanze, in sostanza, proprio mentre Bersani fa mostra di credere in una possibile apertura almeno di dialogo con i cinquestelle.
STRADA STRETTA
Ligio allo schema di andare alla trattativa impugnando la carota da una parte e la clava dall’altra, il leader del Pd ha invitato ancora una volta i grillini almeno a un confronto, ma nello stesso tempo non ha lesinato critiche pesanti a Grillo: «Si vuole tenere le mani libere perché pensa solo al potere», laddove il Pd «fa l’inverso, usa il potere che ha per metterlo al servizio del Paese». Come non bastasse, il responsabile enti locali del partito, Davide Zoggia, ha annunciato querele nei confronti di M5S «per le accuse gravi e infamanti pronunciate in campagna elettorale contro il Pd», lo stesso Zoggia, fra l’altro, nominato assieme a Rosa Calipari e Luigi Zanda come pontieri per una ricognizione con tutti i gruppi sulle presidenze.
Bersani non si nasconde le difficoltà: «La strada è stretta, strettissima, ma non vedo strade più larghe». La parola più ripetuta è stata «responsabilità»; l’obiettivo dichiarato, arrivare a una «fiducia» a un «governo del cambiamento» basato sui famosi otto punti, tenendo conto che «la crisi incombe, il 2013 sarà l’anno peggiore». L’impressione è che il Pd persegua questo tentativo di apertura a Grillo più per dovere che per convinzione, stando soprattutto attento a rintuzzare l’antipolitica e ancora di più l’antiparlamentarismo. Su questo tema, Dario Franceschini ha svolto un intervento all’insegna dell’«orgoglio del parlamentare»: «Le Camere sono il tempio della democrazia, non vanno sporcate, qui dovete andarci a testa alta, consapevoli di essere stati scelti con le primarie e non con qualche centinaio di voti online».
Ma il segretario: vado avanti anche senza numeri in Senato
IL RETROSCENA
ROMA «La mia strada è stretta e non lo nascondo, ma autostrade non ce ne sono». Pier Luigi Bersani conferma dal palchetto del teatro Capranica il pluri-braccio di ferro ingaggiato con i grillini, che continuano a stare sulle barricate, e con il Quirinale, che sembra resistere all’idea di affidargli l’incarico per formare un governo che dovrebbe cercarsi i numeri in Parlamento. Bersani non molla e attribuisce la responsabilità della situazione di stallo «a chi pensa di tenersi le mani libere» e magari a prendersi una presidenza della Camera senza pagare il prezzo di un accordo politico. Lo scontro con i due «principi» del M5S, Grillo e Casaleggio, avviene allo scoperto, mentre resta sottotraccia quello con il Colle che invece vorrebbe metter su un governo con il principale compito di cambiare la legge elettorale e poi di presentarsi di nuovo davanti agli elettori.
Bersani però non ci sta, pensa che Grillo stia alzando i toni proprio per evitare che gli venga affidato l’incarico, e continua a rivendicare quel «tocca a noi», che come piano B prevede solo lo scioglimento del Parlamento qualora il nuovo inquilino del Quirinale, che verrà eletto a metà aprile, constatasse che non ci sono alternative. E’ per questo che anche nel Pdl si tenta di cambiare l’ordine della trattativa partendo proprio dal Colle. Un modo, quello indicato dal partito di Berlusconi, per non essere tagliati fuori dalla trattativa e trovarsi poi con un presidente della Repubblica che, a seconda del nome, potrebbe tramutarsi in un garante dell’intesa con i grillini o in un garante delle ragioni del Pd. Le inchieste e il ”sì” preventivo dato dai capigruppo del M5S ad una possibile richiesta d’arresto di Berlusconi (magari a seguito dell’inchiesta di Napoli), complica il lavoro del capo dello Stato che oggi incontrerà una delegazione del Pdl guidata da Alfano e alla quale non potrà che consigliare prudenza.
Ovviamente nello scenario immaginato dal segretario del Pd c’è anche la possibilità di guidare da palazzo Chigi il ritorno alle urne qualora il tentativo andasse a vuoto. Modi per rendere inevitabile tale percorso ci sarebbero e passerebbero, sempre a giudizio del Pd, attraverso l’offerta a Monti della presidenza del Senato. Liberando la poltrona di palazzo Chigi il Professore diventerebbe poi spendibile anche in chiave Quirinale. Ipotesi, queste, che piacciono poco a Giorgio Napolitano il quale teme che l’uscita di Monti da palazzo Chigi possa aggiungere incertezze a incertezze sulle quali si butterebbe la speculazione finanziaria.
STALLO
La situazione di stallo rende più concreta la possibilità di un voto anticipato a breve e questo spiega i sempre più fitti affondi di Matteo Renzi che ieri ha attaccato direttamente il quartier generale del Nazareno, quello - a suo dire - che durante le primarie «mi ha remato contro» e che più di tutti fatica a considerare la possibilità di una rinuncia al finanziamento pubblico. Al Nazareno c’è chi ieri aveva pensato di mettere insieme un altro dossier contro il sindaco cominciando dalla condanna inflitta a Renzi in primo grado dalla Corte dei Conti per danno erariale quando era presidente della Provincia, ma poi è prevalsa la linea della prudenza e la volontà di non aggiungere tensioni nel partito. Resta il fatto che, archiviata ogni ipotesi di governo col Pdl, anche il sindaco di Firenze mostra di credere poco alle chances di Bersani di formare un governo e punta ad ereditare la leadership del centrosinistra, magari allargato alla lista-Monti. Bersani non sembra avere voglia di candidarsi di nuovo, ma il precipitare degli eventi, con un possibile voto a giugno, renderebbe la candidatura di Renzi una sorta di cooptazione da parte dell’attuale gruppo dirigente del Pd nel quale l’area ex Margherita la farebbe da padrone. Il sindaco di Firenze preferirebbe invece passare per nuove primarie «molto allargate», ed è in quest’ottica che ottobre sarebbe il mese preferito, anche rispetto all’ipotesi di un governo che durasse un anno, che farebbe perdere smalto alla sua candidatura e obbligherebbe Bersani a convocare il congresso in autunno.