ROMA Non si metterà a chiedere l’elemosina, vestito da mendicante, davanti alla porta di San Pietro. Come fece San Francesco. Ma il nome è quello. E la scelta di chiamarsi così, da parte del nuovo Papa, è un segnale fortissimo, addirittura rivoluzionario. Per la prima volta, nella storia bimillenaria della Chiesa, un Pontefice decide di chiamarsi Francesco. Ed è difficile credere che la scelta del nome non sia stata concordata e non rispecchi gli umori di chi lo ha eletto. Se si fosse chiamato Leone o Gregorio, avrebbe dato il segno di una Chiesa trionfante e invece in Francesco c’è il simbolo di una Chiesa dolente. Il Signore disse a Francesco d’Assisi: «Va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina». E un po’ ci risiamo, al bisogno di ricostruzione. «Guai a fare paragoni improbabili - premette naturalmente lo storico Franco Cardini, uno dei massimi studiosi di San Francesco - e limitiamoci a una considerazione secca. Rompere la tradizione scegliendo questo nome, che è un nome coraggioso e ingombrante, è un modo per sottolineare la straordinaria necessità della Chiesa di cambiare strada subito. Ossia di mettersi lungo le vie del mondo per portare la parola di Dio, come diceva San Francesco. Il che significa annullare ogni distacco, mescolarsi, ascoltare».
I GABBIANI
Si chiama Francesco I il nuovo Papa e di Francesco I si può ricordare il grande re di Francia, nel ’500, che fu mecenate di Leonardo da Vinci, il quale morì nel suo castello di Amboise. Ma siccome i nomi sono sostanza, il paragone forte è quello con il santo di Assisi, di cui Dante nell’XI canto del Paradiso descrive le «nozze mistiche» con «madonna povertà». Che dire, poi, della comparsa dei due gabbiani, ieri, sul comignolo da cui sarebbe uscita la fumata bianca? C’è una qualche connessione mistica con il fatto che il Papa si sarebbe chiamato Francesco e con il fatto che San Francesco parlava agli uccelli e «fratelli miei, voi dovete molta riconoscenza a Dio creatore perchè vi ha dato il grande dono di volare nell’aria»? Si tratta di suggestioni un po’ così, che valgono quel che valgono. La sostanza sta nelle parole di Alberto Melloni, storico della Chiesa: «Non avrei mai creduto di vedere un Papa di nome Francesco. Dentro quel nome c’è la chiave per capire. Siamo di fronte a una figura di rottura che si propone di rilanciare una comunità in affanno». Ci riuscirà Francesco I? Cardini: «L’altro Francesco non si stancò mai di farlo. E non è che la sua opera, nonostante facesse miracoli, fosse meno impegnativa di quella in cui si trova adesso a cimentarsi il nuovo Pontefice».
Il fatto che sia un gesuita a scegliere il nome di Francesco è una sorpresa nella sorpresa. E un’indicazione pop. Perchè oggi Francesco d’Assisi è uno dei santi più venerati nel mondo.
LA BATTAGLIA
Francesco dovrà essere un Pontefice di battaglia e anche qui il nome lo assiste. «Dovrà fronteggiare con animo battagliero ma di pace e di dialogo - spiega Massimo Cacciari - il rapporto con l’Islam. Alla maniera proprio di San Francesco, che non è vero che fu un crociato». Partecipò alla quinta crociata, e nel 1219 durante l’assedio alla città egiziana di Damietta ottenne dal legato pontificio il permesso di poter passare nel campo saraceno e incontrare il sultano al-Malik al-Kamil, nipote di Saladino. Lo scopo dell’incontro era quello di potergli predicare il vangelo e di mettere fine alle ostilità. «E’ tutto da vedere - incalza Cacciari - se l’indicazione francescana dell’umiltà che comunque riprende i gesti di Ratzinger, dell’apertura ai culti e alle culture diverse, della sensibilità ai bisogni dei diseredati produrranno un Papato di svolta profonda. Le premesse ci sono tutte, fin dal nomen omen. L’attenzione verso quello che fino a poco tempo fa si chiamava il Terzo mondo è una questione. L’altra, forse ancora più complicata, è quella che riguarda le società secolarizzate come la nostra Europa. Dove Francesco I dovrà affrontare nodi cruciali come quello del rapporto tra fede e scienza».
Intanto, e non poteva essere altrimenti, viene alla mente la scena di fratello sole e sorella luna con San Francesco inginocchiato davanti al Papa. Che adesso, quasi per uno scherzo della storia, ha preso il nome di quel poverello.
Il gesuita amico dei poveri che fu sconfitto da Ratzinger
Figlio di un piemontese. In un libro rivelò: «Ho avuto una fidanzata, amo il tango»Un’ombra grava sul suo passato: l’accusa di complicità con i militari argentini
Lui che dice di venire «dalla fine del mondo» ora se ne trova al centro e invoca con umiltà il conforto. C’è tutta la sua storia e il Papa che sarà nel nome scelto e in quella richiesta sovversiva di ogni ordine e gerarchia. Nessuna croce d’oro al petto, le parole quasi timide: la grandiosa semplicità racconta più di ogni dettaglio della sua vita già francescana e lontana dalla curia, «per carità in curia muoio» rispondeva a chi gli offriva di dirigere un dicastero, e vicino ai poveri. Lo sfidante di Ratzinger ne prende il posto, il cardinale Jorge Mario Bergoglio che al conclave del 2005 uscì sconfitto alla quarta votazione (84 a 26) adesso raccoglie la problematica eredità del rivale. L’uno contro l’altro, quasi otto anni fa, un testa a testa tra due futuri Papi, le schede per il tedesco aumentavano insieme a quelle dell’argentino. Questa volta la fumata bianca è per lui.
GLI STUDI
Il gesuita argentino (nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936) ha un cognome italiano per via del bisnonno di Portacomaro, Asti. Da lì il padre del pontefice - Mario, un ferroviere - emigrò prima a Torino poi in Argentina. La conoscenza del dolore, appena adolescente: per un’infezione respiratoria gli fu tolto un polmone. Il ragazzo Jorge frequenta una scuola per chimici, ma dopo il diploma entra in seminario a Villa Devoto, poi il passaggio alla Compagnia di Gesù. Prima di scoprire la vocazione conosce anche l’amore, la fidanzata «è del gruppo di amici con i quali andavamo a ballare», confida nel libro intervista «Il Gesuita» di Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin. Bergoglio studia in Cile e dopo il ritorno a Buenos Aires si laurea in Filosofia, è professore di letteratura e psicologia, prende un’altra laurea in teologia. Nel 1997 diventa arcivescovo coadiutore di Buenos Aires e l’anno dopo succede al cardinale Quarracino, lo stesso da cui aveva ricevuto l’ordinazione episcopale.
LA PORPORA
Giovanni Paolo II lo nomina cardinale nel concistoro del 21 febbraio del 2001, San Roberto Bellarmino è la chiesa romana di cui diviene titolare. Anche allora Bergoglio si distingue per il suo stile. Centinaia di argentini si danno da fare per raccogliere soldi e raggiungere Roma così da onorare la sua nuova porpora. Ma lui chiede loro di restare in patria e distribuire la somma tra i poveri. Lui a Roma festeggia quasi da solo, con semplicità, perché è così che è abituato a vivere. Niente auto blu anche da cardinale, lui gira in bicicletta, autobus o metro. La casa vescovile adiacente la cattedrale della capitale argentina è sempre rimasta vuota. Bergoglio preferisce abitare in un appartamento poco distante, cucina da solo a pranzo e cena, indossa la tonaca da semplice prete. Non servono appuntamenti per incontrarlo, basta bussare alla porta, racconta don Gaetano Saracino che lo conobbe da missionario scalabriniano. «Negli anni della dittatura si è dedicato ai poveri con tutta la forza: con la vendita delle scuole dei gesuiti, distribuendo pasti nei Barios». Si racconta che abbia rifiutato una prima volta la nomina a presidente dei vescovi dell’Argentina, incarico che poi ha ricoperto dal 2005 al 2011.
IL PENSIERO
Ama Beethoven, il tango e il calcio, I promessi sposi e la Divina commedia, «Il pranzo di Babette» è il film preferito. E’ un gesuita all’antica, fedelissimo di sant’Ignazio. Si batte contro la globalizzazione che impoverisce ancora di più i poveri, immagina una chiesa «capace di uscire per strada, cercare la gente: questa è la nostra missione». Una chiesa che rinunci ai privilegi e combatta il carrierismo, non «autistica e autoreferenziale», che sappia anche selezionare i sacerdoti. «Un prete pedofilo - dice - porta in sé la perversione prima di essere ordinato, sopprimere il celibato non lo curerebbe». In Vaticano cerca di andarci il meno possibile, quando lo chiamano. Una personalità complessa, la sua, sfugge alle categorie e definirlo un conservatore sarebbe riduttivo. Anche se si è sempre opposto all’aborto, alla contraccezione, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, considera le adozioni gay «una forma di discriminazione contro l’infanzia».
Sul suo passato le ombre della giunta militare: un avvocato lo ha accusato di complicità nel rapimenti di due gesuiti liberali. Le prove sarebbero contenute nel libro «L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina», del giornalista argentino Horacio Verbitsky. Il marito del presidente argentino Cristina Fernadez de Kirchner lo ha definito «il mio vero oppositore». Ma con lei i rapporti sono migliorati e subito è arrivato il messaggio di congratulazioni. Per Francesco I, il Papa che chiede la benedizione prima ancora di darla.