Bersani cerca i voti necessari e convoca la direzione Pd. Nel partito c’è chi pensa al piano B: se fallisce non c’è solo il voto
IL RETROSCENA
ROMA E se la sorpresa arrivasse dal Gal? E se fossero proprio i dieci autonomisti del Senato raggruppati sotto la sigla di “Grandi autonomie e libertà” (Gal, appunto) a far toccare a Pier Luigi Bersani la sospirata quota 158? Ai vertici del Pd bersaniano, e nelle aspirazioni dell’incaricato, questa carta è sul tavolo, pronta lì a essere giocata, anche se non si capisce chi la stia giocando e se si stia giocando. I conti sono presto fatti: i voti sicuri per Bersani al Senato sono 123 costituiti dai 107 del Pd, cui vanno aggiunti i 7 di Sel, i socialisti più altri del Misto non di destra; ci sono poi i 21 montiani, e si arriva a 144, in sostanza a una quindicina di voti mancanti dalla fatidica soglia dei 158. E se, dopo incontri e trattative, si aggiungessero almeno 8 dei 10 di Gal, Bersani sarebbe a un soffio dal traguardo. «In fin dei conti, in Sicilia già si è sperimentato un rapporto di governo con Mpa», fa notare un parlamentare siculo ricordando la giunta Lombardo appoggiata da parte del Pd.
I NUMERI
Non sono ancora i numeri certi che Giorgio Napolitano si attende, ma sarebbero un incentivo sostanzioso, una importante tappa di avvicinamento al traguardo della maggioranza certa. Ci sono poi i 16 senatori della Lega, con i quali Bersani farebbe Bingo, ma ben pochi pensano che i seguaci di Maroni si muovano in autonomia dal Cavaliere. «L’importante è far partire la macchina, accendere il motore, il resto poi verrà», chiosa Miguel Gotor, neo senatore democrat arrivato alla Camera a metà pomeriggio, facendo capire che, se il governo Bersani parte, poi per metterlo in minoranza si dovrebbero coalizzare un po’ tutti, dal Pdl ai Cinquestelle, uno scenario tutto da vedere.
I RENZIANI
«Aspettatevi novità», ha promesso Bersani ai cronisti e ad alcuni studenti che lo hanno riconosciuto all’uscita del suo pub prediletto nella Capitale, dopo il pomeriggio di inizio consultazioni alla Camera. Un Bersani determinato, inappuntabile nel suo grigio ministeriale, che ha ricevuto le autonomie e il terzo settore. Ma proprio dai sindaci gli è giunta una stilettata da far sanguinare, una vera e propria rasoiata da parte di Graziano Del Rio, presidente dell’Anci, del Pd ma di osservanza renziana: «Se Bersani non dovesse malauguratamente riuscire, il capo dello Stato avrà il compito di trovare altre soluzioni», ha scandito all’uscita dell’incontro, dando così voce a quanti, nel Pd, già sognano o lavorano al cosiddetto “piano B”. E se al Nazareno i bersaniani dicono e ripetono che «il piano B è solo Bersani», nel senso che o riesce lui o si torna al voto sempre con lui candidato premier, nel partito non la pensano allo stesso modo in tanti, e qui e là mettono fuori la testa e lo dicono: «Pieno e leale sostegno al tentativo di Bersani, ma se non ce la fa, la palla passa al capo dello Stato», precisa ad esempio il renziano Paolo Gentiloni. E dietro le quinte spunta o rispunta l’ipotesi di quel governo del Presidente, ultimamente ribattezzato «a bassa intensità politica», con una maggioranza che giura su quattro-cinque punti (legge elettorale, moralità politica, misure emergenziali) e poi ne affida la realizzazione ad alcune personalità scelte dal Colle che formano il governo senza maggioranza politica precostituita, ma solo per farlo nascere. Ma questo riguarda il domani, se il leader democrat dovesse non farcela.
LE INCOGNITE
Per il momento, l’attenzione è tutta rivolta alla possibilità di riuscirci. Non a caso Bersani ha convocato per domani prima i gruppi parlamentari, quindi la direzione, e non solo e non tanto per avere disco verde pieno al suo tentativo. L’obiettivo al quale punta il segretario è quello di stoppare sul nascere quanti già guardano al dopo, pronti a sostenere un altro tentativo che non sia quello del leader. «Ci vuole un governo per evitare il rischio Cipro, per fare le riforme ed evitare le elezioni, e Bersani è l’uomo giusto per attuarlo. Ma se non ce la fa, è sbagliato e pericoloso invocare le urne», anticipa Beppe Fioroni (della truppa degli ex popolari). Come faranno i bersaniani a far passare la linea o Bersani o voto? Non certo mettendolo nero su bianco, ma puntando a far approvare una linea che dica con chiarezza «mai accordi con il Pdl e con Berlusconi», come a dire: anche chi dovesse venire dopo, non avrà mai i voti dei democratici assieme al Pdl per far nascere qualunque governo, del Presidente o meno che sia. E quindi, o Bersani o elezioni anticipate con Bersani. Al momento non si sa ancora se ci sarà un documento da far votare, e quindi vincolante, o se solo una informativa politica del segretario.