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Data: 26/03/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Sette anni a Dell’Utri, il pg chiede l’arresto «Mediò tra Berlusconi e mafia». Confermata la sentenza in appello

PALERMO La tempesta che ha investito Palermo ha travolto anche l'ex senatore Pdl, Marcello Dell'Utri e ora sulla sua testa pende una richiesta d'arresto da parte della procura generale. La terza sezione della Corte d'appello l'ha condannato a 7 anni per concorso esterno all'associazione mafiosa, confermando la pronuncia del giugno 2010 dei propri colleghi. La Cassazione, infatti, aveva annullato con rinvio al secondo grado perché aveva ravvisato nelle motivazioni una sorta di "buco" nel periodo compreso fra il 1977 e il 1982. Il giudizio del collegio guidato da Raimondo Lo Forti ha invece ritenuto provato il ruolo di Dell'Utri quale mediatore fra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Un patto, quello stretto fra il politico ed esponenti mafiosi, teso a proteggere l'ex premier che pagò alla mafia «cospicue somme» per garantire la sicurezza sua e dei suoi familiari. E così sarebbe stato, ma solo fino al 1992.
La Suprema corte infatti ha già detto la parola definitiva, negando la colpevolezza, sulle condotte contestate a Dell'Utri che coinvolgono la nascita di Forza Italia e il presunto appoggio della mafia siciliana al partito berlusconiano. In apertura delle sue repliche, infatti, lo stesso sostituto procuratore generale, Luigi Patronaggio, ha tenuto a precisare che non si sia trattato di un processo politico nonostante «qualche scomposto attacco esterno durante la mia requisitoria». Il pg ha posto l'accento sul tentativo di Cosa nostra di agganciare Berlusconi per il tramite di Dell'Utri, la cui colpa, in sintesi, sarebbe stata quella di non essersi opposto permettendo, anzi, alla mafia «di rafforzarsi economicamente, di ampliare i suoi interessi, il suo raggio d'azione, di tentare di condizionare scelte politiche governative in relazione al successivo ruolo politico assunto da Berlusconi».
RUOLO CONSAPEVOLE
Una condotta svolta «coscientemente» dall'ex senatore, «conoscendo e condividendo il metodo mafioso dell'organizzazione, perseguendo il fine personale del rafforzamento della sua posizione all'interno delle varie aziende e iniziative di Silvio Berlusconi», anche prima della sua discesa in campo, mediando «le richieste estorsive di Salvatore Riina, che facendo pressioni e violenze sull'imprenditore milanese, intendeva 'agganciare' l'allora presidente del Consiglio Bettino Craxi».
Il processo a Dell'Utri dura, ormai, da quasi vent'anni e, quindi, lo spettro della prescrizione è sempre in agguato, un'eventualità che, secondo l'accusa, «sarebbe una sconfitta della giustizia. I cittadini hanno bisogno di certezze: vogliono sapere se Dell'Utri è stato un mediatore o una vittima della giustizia malata». La difesa, nelle controrepliche, ha riconosciuto alla procura generale che «la politica non è entrata in questa aula» e che «Dell'Utri si sta giocando tutta la vita in questo processo». Dopo aver attaccato la credibilità dei collaboratori di giustizia che hanno accusato il politico, il collegio difensivo ha concluso tenendo in giusta considerazione anche la prescrizione come «mezzo per mettere la parola fine a un calvario». Un'istanza «subordinata, ma doverosa». I giudici impiegano un'ora un più del previsto prima di leggere il verdetto di condanna, l'ex senatore si mantiene saldo, non perde il suo senso dell'umorismo, e dà appuntamento alla Cassazione – il reato andrebbe prescritto entro il 2014 – al nuovo capitolo di quello che lui ritene essere il suo personalissimo “Romanzo criminale”.

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