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Data: 27/03/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Marò, Terzi lascia: ira di Monti, sconcerto del Colle «Mossa irrituale». Quell’interim al professore «Ormai tutti dimissionari»

ROMA Un vero colpo di scena. O di teatro. Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, si dimette in aula, in diretta tv, in polemica con il governo e in particolare col premier Monti che non è stato neppure avvisato e si dirà subito «sorpreso», così come all’oscuro della decisione è il presidente Napolitano, che si dirà «sconcertato» per le «dimissioni irrituali». Seguono fasi concitate. Monti furibondo, convocato al Colle col decreto di accettazione delle dimissioni di Terzi, il premier assume l’interim della Farnesina. Alla Camera, intanto, coro di critiche per la gestione della crisi, però con sfumature diverse. Il centrodestra invoca la presenza in aula di Monti (riferirà oggi al Senato), ne addita le responsabilità e ne chiede le dimissioni, mentre assolve Terzi per il «gesto dignitoso» di farsi da parte. Ma anche dal Pd c’è presa di distanza. «È l’8 settembre del governo tecnico», dice il deputato democrat Lapo Pistelli.
LO SCONTRO

Lo scontro interno all’esecutivo va in onda dai banchi del governo tra lo stesso Terzi e il ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, che sottoscrive i «fatti» descritti nell’informativa del collega ma ne boccia le valutazioni «che non sono quelle del governo». Terzi voleva che i due marò non rientrassero a Delhi. Voleva che l’Italia mantenesse il punto e persistesse nella violazione dell’affidavit col quale il nostro ambasciatore Daniele Mancini si era impegnato al ritorno dei fucilieri dopo due mesi di permesso elettorale. E per questo alla fine ha scelto di togliere il disturbo. Così: «Avevo posto una serie di riserve alla repentina decisione di un ritrasferimento in India, ma la mia voce è rimasta inascoltata. Avevamo finalmente da noi, in patria, i due fucilieri di Marina, in una cornice giuridicamente solida che aveva ottenuto il consenso crescente dei partner internazionali soprattutto dopo la violazione dell’immunità del nostro ambasciatore». Terzi ribadisce la forzatura rimproveratagli nei giorni scorsi sia da Monti che da Napolitano. Il capo delle feluche ammette di aver atteso proprio «questo momento», l’informativa in Parlamento, per dire «non posso più far parte di questo governo e annuncio le dimissioni, anche per solidarietà con i marò e le loro famiglie, e per salvaguardare l’onorabilità del paese, delle forze armate e della diplomazia italiana». Per il resto, sottolinea la condivisione di tutte le informazioni e decisioni con il premier e gli altri ministri. Mai un passo «autoreferenziale». Un atto d’accusa a Monti.
Quando siede, torvo e soddisfatto, tra gli applausi del centrodestra, si alza Di Paola per annunciare le non-dimissioni. «Sarebbe facile per me dimettermi, no-cost, ma ho condiviso tutte le scelte e non abbandonerò oggi la nave in difficoltà con Latorre e Girone ancora a Bordo. A loro e alle famiglie chiedo scusa se non sono riuscito a fare tutto ciò avrei voluto».

Quell’interim al professore «Ormai tutti dimissionari»
Vertice teso con il capo dello Stato: Giulio ci ha tenuto all’oscuro di tutto. Il responsabile della Farnesina ha letto un discorso diverso da quello concordato

ROMA «Indignati». «Sconcertati». «Infuriati». «Sbalorditi». Giorgio Napolitano e Mario Monti sono tornati a condividere un «comune sentire» grazie al «gestaccio politico» di Giulio Terzi. «Un gestaccio», le dimissioni annunciare dal ministro degli Esteri nell’aula della Camera, «di una gravità inaudita e senza precedenti nella storia della Repubblica», che Monti ha appreso in diretta tv. «Non credo ai miei occhi», ha sussurrato il premier. E ha dato ordine di scoprire se qualcuno ne avesse avuto sentore. Ma nessuno sapeva nulla. «Neppure alla Farnesina, neppure il ministro Di Paola che gli era seduto accanto a Montecitorio». Conclusione amara del professore: «Qui c’è chi sente già odore di elezioni...». E a palazzo Chigi hanno fatto notare gli applausi del Pdl e Ignazio la Russa corso a parlare di un’eventuale candidatura di Terzi. Ma c’è di più. C’è che secondo il premier, il responsabile degli Esteri «con le sue dimissioni in polemica», ha creato serissimi problemi di natura diplomatica e di sicurezza. E’ seguito un sorriso amaro di fronte alle richiesta di dimissioni del Pdl: «E da cosa mi dovrei dimettere?! Siamo già tutti dimissionari. Poi, sono come Di Paola: non abbandono la nave in difficoltà». E oggi in Aula, Monti, esprimerà stupore e amarezza per la decisione di Terzi, difendendo la decisione del governo di rimandare i marò in India.
Nel faccia a faccia serale, Napolitano e il premier hanno deciso di non procedere alla nomina di un nuovo ministro. Ormai sgretolato, zoppicante, disconosciuto da tutti, il governo andrà avanti così. Con l’interim degli Esteri in mano a Monti. Sono stati minuti di rammarico e rabbia quelli al Quirinale. Il capo dello Stato e il presidente del Consiglio si sono guardati negli occhi convinti di essere stati ingannati da Terzi.
L’INGANNO

Il ministro - raccontano fonti ben informate - in mattinata aveva partecipato a un lungo incontro con Monti e il responsabile della Difesa, Giampaolo Di Paola. I tre, in contatto con il Quirinale, avevano concordato il discorso e la versione da dare al Parlamento sul “pasticciaccio” dei marò. Discorso e versione in cui non si faceva alcun accenno alla dissociazione di Terzi. A quel j’accuse scandito tra gli applausi del centrodestra: «Ero contrario a rimandare Girone e Latorre in India». E Monti, con Napolitano, non ha nascosto la sua indignazione: «Siamo stati a lungo insieme, abbiamo parlato, concordato la versione da dare al Parlamento. Terzi non mi aveva fatto accenno alle sue irrituali ed eclatanti dimissioni. Sono esterrefatto...».
Insomma, secondo il premier, un vero e proprio tradimento. O quasi. E Napolitano ha condiviso parola per parola. Se possibile, il capo dello Stato si è mostrato ancora più indignato del professore. Il ragionamento: quello del responsabile della Farnesina non è un comportamento consono a chi riveste un incarico istituzionale tanto delicato. «Queste dimissioni in diretta tv saranno materia di studio...», ha osservato Napolitano firmando in decreto di conferimento dell’interim a Monti.
DOPPIE VERSIONI

A palazzo Chigi fanno notare che, per di più, Terzi «si è contraddetto». Che il 22 marzo, il giorno successivo alla decisione del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr) di rispedire in India i due marò, il ministro rilasciò una dichiarazione in cui certificava: «La decisione è stata presa collegialmente dal governo». Eppure, in quella riunione del Cisr, effettivamente Terzi e il ministro Di Paola si erano detti contrari al ritorno di Latorre e Girone in India. Ma poi, in minoranza, avevano dovuto accettare quanto deciso dal Comitato: troppi guai diplomatici (compresa la “detenzione” dell’ambasciatore italiano a New Delhi), troppi problemi commerciali, erano stati innescati dalla decisione di non rimandare in India i marò. E Terzi non aveva chiesto che venisse messo a verbale il suo dissenso.
IL “PROCESSO“ DEL 21 MARZO

In quella stessa riunione del Cisr, Terzi era finito sotto processo proprio per la decisione di trattenere i marò. Il ministro era stato accusato di non avere «debitamente informato» il premier e il capo dello Stato. Di avere deciso di trattenere Girone e Latorre, d’intesa con Di Paola, «senza una piena e adeguata condivisione».

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