I democrat contano sulla Lega per la mediazione e per i voti decisivi. Una parte degli azzurri non vuole sostenere alcun esecutivo: urne a giugno
IL RETROSCENA
ROMA Il filo è sottile e servirà un altro giorno per tentare di consolidarlo o per spezzarlo del tutto prima della salita di Pier Luigi Bersani al Quirinale questa sera. Le possibilità che il mandato ricevuto dal segretario del Pd possano tramutarsi sabato in un governo sono legate ad una percentuale, 2/3, e ad una rosa di nomi di possibili candidati al Quirinale sulla quale Silvio Berlusconi dovrebbe ragionare - mettendo da parte Gianni Letta o se stesso come unici candidati - insieme a Roberto Maroni, ambasciatore di lusso del centrodestra nella trattativa con il centrosinistra. Due terzi dovrà essere, se l’intesa prenderà quota, la percentuale di parlamentari e delegati regionali che si dovrà raggiungere per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Un impegno preciso che il segretario del Pd potrebbe prendere in cambio del via libera al suo governo.
SENATO
L’impresa è difficile e le resistenze all’intesa sono ancora forti e tagliano sia il Pd che il Pdl. Nel partito di Bersani c’è infatti chi, renziani in testa, rumoreggia per il possibile accordo con il Pdl che, secondo qualcuno, non sarebbe nella linea del «tocca a noi» e del «chi ci sta ci sta». Tantomeno con l’idea, coltivata al Nazareno nei primi giorni della legislatura, di poter attingere i voti mancanti al Senato dal M5S.
«Ma non eravamo noi accusati di voler trattare con Berlusconi?», sostiene un deputato vicino al sindaco di Firenze. Malgrado Bersani abbia convocato una riunione della direzione per ufficializzare il mutamento di linea - ovvero che non si guardava più solo in direzione grillina, ma anche del centrodestra - nel partito ci si interroga sin da ora sulle possibili concessioni che il segretario del partito potrebbe aver fatto in favore dell’uomo di Arcore. Non va meglio nel Pdl dove da due giorni volano fendenti tra la pattuglia dei trattativisti, guidati da Alfano e Lupi, e l’ala degli irriducibili alla Verdini e Santanchè che non credono al doppio binario, alla Convenzione per le riforme, invocano come unica strada le urne e continuano ad organizzare manifestazioni di piazza (il 13 a Bari) come se fosse già certo il voto anticipato a giugno.
VOTO A GIUGNO
Chiuso con i suoi avvocati e consiglieri nella villa di Arcore, il Cavaliere si interroga sulla strada da prendere. La voglia di nuove elezioni a brevissimo lo tenta, visti i sondaggi che danno grillini e centristi in caduta, ma poiché il Senato sarebbe comunque ingovernabile, il Cavaliere si chiede se non gli convenga trattare ora piuttosto che tra qualche mese e con un Capo dello Stato che il Pd eleggerebbe a maggioranza semplice dopo i primi tre scrutini nei quali la Costituzione chiede i due terzi degli aventi diritto. I falchi del suo partito lo spingono a rompere ogni trattativa e a impedire la nascita non solo del governo Bersani, ma di qualunque altro governo in modo da votare a fine giugno. «Andare ad ottobre sarebbe per noi troppo rischioso - sostiene un ex ministro - ci sarebbe Renzi in pista e rischiamo che vada in porto in Cassazione il processo Mediaset con tanto di incandidabilità di Berlusconi!».
Bersani incontrerà oggi una delegazione del Pd e di Sel e del Centro democratico di Tabacci. Poi qualche ora di riflessione prima della salita al Quirinale dove troverà un Giorgio Napolitano pronto a restare in carica sino all’ultimo giorno del settennato. Al punto da aver messo in agenda per il 12 aprile (tre giorni prima della scadenza), un incontro con i giudici della Corte Costituzionale.
Di piani B e di governi del presidente, Bersani non vuol sentir parlare. Considera la sua strada «stretta», ma «l’unica in grado di far partire la legislatura». «Sarà il Capo dello Stato a decidere», sostengono al Nazareno.
NESSUN GOVERNO
Napolitano intende chiudere la crisi prima della fine del suo mandato e se proporrà, in alternativa a Bersani, un governo del presidente «noi non ci metteremo di traverso. Lo lasceremo partire - spiegano - ma senza ministri nostri» e forse con un appoggio esterno. Se però il Pdl dovesse confermare la linea dura che non prevede il sostegno a nessun governo, obbligando il Paese a galleggiare senza esecutivo sino a giugno, Berlusconi andrebbe in collisione non solo con l’attuale ma anche con il prossimo Capo dello Stato. Scenari da scontro totale che non piacciono alla Lega che ieri ha incassato per Giancarlo Giorgetti la guida della commissione che alla Camera sta lavorando al Def.