Il nodo è il Quirinale, forse già stasera il colloquio decisivo con Napolitano Chiusura da M5S, cauta apertura di Maroni: «Uscire dall’aula? Forse...»
ROMA «Attendo dai partiti una parola conclusiva e un’assunzione di responsabilità. Io non ho diktat da fare, devo portare al Quirinale una valutazione conclusiva fatta di numeri e di valutazioni politiche sulla situazione. Non vado là con delle richieste in premessa, non sarebbe rispettoso per il capo dello Stato». Pier Luigi Bersani salirà oggi o domani al Quirinale con un risultato che non è quello chiesto da Napolitano: l’esistenza di un sostegno parlamentare certo al governo del cambiamento. Il presidente incaricato difende la sua scelta di voler formare un governo ma senza forzature. «Non sbatto la testa al muro...». Resta il fatto che l’ultimo “schiaffo” ricevuto ieri dal M5S, che nella diretta streaming a Montecitorio ha confermato il no alla fiducia e nel pomeriggio ha dato il colpo di grazia al segretario Pd attraverso Vito Crimi che ha detto «Se Napolitano fa un altro nome è tutta un’altra storia», non consente a Bersani di chiedere al capo dello Stato di trasformare il mandato esplorativo in mandato pieno. Questo, però, non vuol dire che il presidente del consiglio incaricato sia ufficialmente fuori gioco, anche se il segretario del Partito democratico aspetta per oggi una risposta definitiva che difficilmente potrebbe ribaltare la situazione. Escluso il soccorso dei 5 Stelle, tutto ruota intorno all’esito di una trattativa sotterranea che riguarda il successore di Napolitano e che sarebbe stata portata avanti in questi giorni dai “pontieri” del Pd, del Pdl e della Lega. Il partito di Berlusconi e quello di Maroni sarebbero infatti disponibili a consentire l’avvio del governo del cambiamento a condizione che nel programma non ci sia la legge sul conflitto di interessi e soprattutto che al Quirinale vada un nome gradito al centrodestra. Bersani anche ieri ha negato qualsiasi possibile accordo. «Non sono ipotizzabili scambi tra cose che sono del tutto diverse» ha detto. «La Costituzione prevede che ci siano tre votazioni che partono dai due terzi di maggioranza. E io sono per partire dal dettato costituzionale, dal presupposto di una comune garanzia su figure che abbiano caratteri costituzionali e istituzionali. Non da esigenze di parte o faziose». Come dire: una soluzione condivisa per il Quirinale è comunque possibile. Ma il problema è che Lega e Pdl vogliono garanzie precise. E Roberto Maroni porta alla luce del sole l’oggetto della trattativa: «Noi non poniamo condizioni né sulla guida Bersani né sulla composizione del governo, purché ci sia un programma condivisibile e poi una rappresentanza nelle istituzioni che non sia monocolore...». Nel caso che venga individuato il nome “giusto”, la Lega sarebbe disposta a consentire la nascita del governo Bersani, magari uscendo dall’aula del Senato e facendo abbassare il numero legale? «Se Bersani accetta le nostre condizioni, noi faremo la nostra parte. Altrimenti andrà al Quirinale a dire che non avrà la maggioranza» taglia corto Maroni. A fare pressing è soprattutto il segretario del Pdl, Angelino Alfano, che in serata lancia l’ennesimo aut aut: «La vicenda è chiusa e l’ha chiusa Bersani, che ora si trova nel vicolo cieco in cui si è infilato. Sta a lui, ora, rovesciare la situazione, se vuole e se può, nell’interesse del Paese». Passa qualche minuto e dal quartiere generale del Pd arriva una gelida nota: «Non siamo disponibili a intraprendere nessuna trattativa sui nomi del prossimo presidente della Repubblica. La proposta del Pd è nota ed è pubblica, l’hanno ascoltata tutti in questi giorni». Finora, il presidente del consiglio incaricato avrebbe offerto al centrodestra solo la presidenza della Convenzione per le riforme che dovrebbe modificare la seconda parte della Costituzione (è circolato il nome di Gaetano Quagliariello). Un po’ poco per il Cavaliere, che vuole precise garanzie sulla giustizia e punta a mettere un “garantista” al Quirinale. Napolitano ringrazierà Bersani per il lavoro svolto e affiderà a un altro l’incarico di provare a formare un nuovo governo? Difficile fare previsioni. Certo è che difficilmente potrà accettare un governo di minoranza che nasca grazie a qualche strategica uscita dalle aule di Camera e Senato. A largo del Nazareno assicurano che il Quirinale accetterebbe una simile situazione. Altri, assicurano invece che il presidente della Repubblica affiderà l’incarico ad un personaggio che difficilmente potrebbe non essere votato. La voce più insistente è quella che riguarda Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia, che ha già dato due premier tecnici come Dini e Ciampi. L’ipotesi, ovviamente, non vede entusiasta la maggioranza bersaniana del Pd. Ma molti, da Franceschini ad Enrico Letta, preferirebbero un “governo del presidente” piuttosto che andare ad elezioni anticipate. Ma i tempi sono molto stretti, e la possibilità che alla fine si torni a votare è a questo punto tutt’altro che remota.