ROMA Così come era scritto, il decreto sui debiti della pubblica amministrazione non piaceva ai beneficiari, ossia le imprese, che lamentavano la complessità delle procedure; ma creava anche allarme a Bruxelles, per il rischio di superamento della soglia del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil. E c’erano anche altri nodi da sciogliere. Così alla fine il governo, che già aveva fatto scivolare dalla prima mattinata alla sera l’orario del Consiglio dei ministri, ha scelto la strada del rinvio. Con la motivazione che sono necessari ulteriori «approfondimenti». Il provvedimento dovrebbe essere esaminato entro pochi giorni, probabilmente all’inizio della prossima settimana. Tra tanti dubbi, c’è però un elemento di maggiore certezza a proposito dell’addizionale Irpef regionale: è stata scartata l’idea, che pure aveva trovato posto nelle bozze dei giorni scorsi, di dare alle Regioni la possibilità di applicare con un anno di anticipo l’aumento del prelievo.
I BILANCI REGIONALI
Questa soluzione non serviva in realtà a reperire risorse per la copertura finanziaria del provvedimento, ma piuttosto a rassicurare le Regioni in maggiore difficoltà, che in mancanza di proprie disponibilità sarebbero riluttanti a procedere con i pagamenti dovendo poi comunque restituire l’anticipazione avuta dallo Stato. Anche questo aspetto dovrà essere messo a punto nella versione finale del decreto.
Ma a spingere l’esecutivo ad una pausa di riflessione è stata anche l’esigenza di concordare il percorso con l’Unione europea. Esigenza affrontata ieri al più alto livello, con una telefonata tra Mario Monti e il commissario agli Affri economici Olli Rehn. Il presidente del Consiglio ha assicurato che il nostro Paese intende rispettare l’impegno di riportare stabilmente il rapporto tra disavanzo e Pil al di sotto del 3 per cento, uscendo così dalla procedura per deficit eccessivo.
Nel 2012 il rapporto si è fermato proprio al 3 per cento tondo, il che è ancora ammissibile: ma questo risultato dovrà essere certificato dalla Ue il prossimo 22 aprile e poi risultare confermato per gli anni successivi. Cosa tutt’altro che scontata con un disavanzo già proiettato nel 2013 al 2,9 per cento proprio per l’esigenza di saldare in particolare le spese legate a investimenti passati; tanto più che nei prossimi mesi potrebbero essere inevitabili ulteriori uscite non programmate, con la conseguenza di dover mettere in piedi una nuova manovra correttiva.
IL MINISTRIO RASSICURA
Ieri il ministro Grilli, nel ribadire che non ci sarà alcun aumento di imposta, ha aggiunto che il decreto non ha bisogno di coperture riferendosi a spese già fatte. Nell’ultima versione del decreto l’unica copertura indicata era quella relativa ai maggiori interessi sul debito pubblico che si determinerà per l’emissione di ulteriori titoli di Stato per circa 40 miliardi in due anni. Invece i circa 8 miliardi per il 2013 relativi a spese per investimenti sarebbero finanziate in deficit, produrrebbero cioè il già preventivato aumento del disavanzo pari a 0,5 punti percentuali.
Grilli, allargando il discorso sul fisco ha fatto sapere che sarebbe ancora possibile evitare l’aumento di un punto dell’Iva previsto per il primo luglio, purché però ci sia la «volontà politica» di trovare le necessarie risorse compensative.
Il ministro ha poi negato che dietro la decisione di rinviare l’approvazione del provvedimento ci siano particolari misteri o contrasti con Corrado Passera, titolare dello Sviluppo Economico. Certo è che quest’ultimo si è fatto interprete delle perplessità delle imprese su procedure e vincoli imposti per lo smaltimento dei debiti arretrati.
LO SCONTRO POLITICO
Le polemiche politiche non sono mancate. Innanzitutto sulla prospettiva, poi risultata superata, di un aumento dell’Irpef regionale, contro la quale si è pronunciato un vasto fronte di rappresentanti politici e sindacali. Ma ha suscitato perplessità anche il rinvio. «Non consentiremo ulteriori perdite di tempo e impediremo che lo Stato paghi i propri debiti caricandoli sulle spalle dei cittadini» ha detto il segretario del Pdl Angelino Alfano. Mentre per il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda «non è accettabile che una decisione, già necessaria da tempo, continui a slittare e, per giunta, senza che se ne conoscano compiutamente le ragioni».
Luca Cifoni