Un procedimento datato 2006 e già in odore di prescrizione, indagati eccellenti tra politici e big dell’imprenditoria pescarese e abruzzese, un giudice attento che si è preso la responsabilità di decidere. È il mix che ha portato il Gup Gianluca Sarandrea a prosciogliere 17 dei 19 imputati con la formula perché il fatto non sussiste. Parola fine per il procedimento sullo scandalo urbanistica: accordi di programma, molti mai realizzati, che secondo la procura di Pescara e il Pm Gennaro Varone che aveva chiesto il processo per tutti costituivano una ramificata commistione tra imprenditori e politici corrotti. E ancora una volta, in primo piano, c’era l’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso che incamera così la sua seconda clamorosa assoluzione. Si replica, ma senza arrivare al dibattimento, quanto accaduto per il processo Housework, salta completamente il teorema ipotizzato dall’accusa sul sistema Pescara. Oltre che per D’Alfonso, il proscioglimento ale è arrivato anche per i dirigenti comunali Guido Dezio e Gaetano Silverii; per gli ex presidenti del consiglio comunale Vincenzo Dogali e Licio Di Biase e per i consiglieri Giuseppe Bruno e Nicola Ferrara. E poi ancora per un folto gruppo di imprenditori: Michele D’Andrea, Franco Olivieri, Alfio Sciarra, Giovanni Di Vincenzo, Franco Lamante, Lorenzo Di Properzio, Enio Chiavaroli, Alessandro Di Carlo, Nicola Di Mascio e Nicandro Buono (assistiti dagli avvocati Milia, Di Biase, Spagnuolo, D’Angelosante, La Morgia, Cantagallo, Gianluca Di Blasio, Vasile, Silvestri, Giansante, Cinquegrana). Ma sono serviti sette anni e, soprattutto da parte delle aziende coinvolte, una buona capacità di resistenza per ottenere il verdetto.
Gli unici che andranno a giudizio, con processo fissato al 31 ottobre prossimo, sono l’imprenditore Aldo Primavera e il tecnico comunale Paolo Marotta. Quest’ultimo, quale istruttore della pratica per l’accordo di programma di via Scarfoglio, avrebbe accettato denaro dall’imprenditore: questione che verrà dibattuta davanti al tribunale.
Si chiude così un altro capitolo che contribuì a far cambiare la guida politica della città e che qualche problema arrecò anche alla stessa procura. La storia di questo procedimento è piuttosto complessa e delicata. Il primo ad istruirlo fu l'ex Pm Aldo Aceto che prima di lasciare la procura di Pescara confezionò una corposa richiesta di arresto di circa 1000 pagine che non venne mai controfirmata dagli altri due magistrati che si unirono in corsa al pool reati amministrativi. Un procedimento che venne anche parzialmente svuotato per impacchettare uno stralcio che avrebbe dovuto vitaminizzare il processo grandi appalti; poi ripreso da un altro pool di magistrati per passare infine a Varone che mercoledì scorso ha concluso il suo intervento davanti al Gup chiedendo il processo per tutti. Ma il giudice Sarandrea, analizzando quella montagna di carte ed ascoltando le tesi difensive, ha deciso per il proscioglimento evitando un processo in fotocopia. A parte la considerazione che molti di quegli accordi di programma sono rimasti sulla carta, c’è da dire che alcune delle questioni, legate in particolare alle presunta dazioni di denaro da parte degli imprenditori verso i politici, erano state sviscerate nel processo Housework.
«Dopo sette anni di sofferenza giustizia è fatta»
Il gran sollievo dei consiglieri finiti nello scandalo
Hanno accolto la notizia del proscioglimento «con la serenità di chi ha sempre avuto la coscienza a posto». Licio Di Biase, Enzo Dogali, Giuseppe Bruno sono consiglieri comunali oggi come allora, quando l’inchiesta li travolse. Identica la reazione del dirigente comunale Gaetano Silverii, tra sentimenti di gioia e di rabbia: «E’ finita com’era giusto che finisse, ma nonostante il sollievo porterò sempre in me i segni della sofferenza e dell’indignazione».
Licio Di Biase era a casa quando il Gup Sarandrea ha emesso il pronunciamento: «Ho atteso l’esito dell’udienza con molta tensione, sono molto sensibile e per anni ho sofferto molto per la situazione - ha spiegato il consigliere comunale Udc -. Il danno d’immagine e politico per me non è stato da poco: ci ho rimesso la presidenza del consiglio comunale e ho dovuto dire addio ad altre opportunità. Seppi di essere indagato nel giorno del mio compleanno, era il 5 giugno 2007. Ho dovuto attendere sei anni per questo parere che ci rende giustizia. Con l’arresto di D’Alfonso quell’amministrazione terminò la sua esperienza dopo appena sei mesi. Quel giorno venne stravolta la democrazia: c’era gente eletta che ha dovuto lasciare l’incarico» è l’amara conclusione di Di Biase.
La decisione del Gup ripaga di tante amarezze anche il consigliere Enzo Dogali: «Ho sempre saputo di non aver fatto nulla di male - premette con tono sereno - e sono sempre stato convinto di poterlo dimostrare. Nel fare politica mi piace ascoltare, ho sempre agito così e mai prima avevo avuto problemi. In questo caso il corso della politica è stato stravolto perché qualcuno si sarebbe potuto candidare alla Regione e altri potrebbero aver potuto fare scelte diverse e invece no. In questi anni sono sempre riamsto tranquillo. Cosa mi aspetto da Mascia? Non saprei - aggiunge Dogali -. Gli chiederei di essere più vicino al consiglio comunale, una cosa è la giunta dei nominati, un’altra è l’aula degli eletti».
Proprio il sindaco Mascia è stato tra i primi, ieri, a manifestare solidarietà ai consiglieri prosciolti. «Al di là dei giudizi sull’amministrazione comunale, Luigi è un caro amico» ha detto Di Biase. Addirittura Mascia ha abbracciato calorosamente Giuseppe Bruno, consigliere di Fli: «Il sindaco mi ha testimoniato la sua vicinanza - ha detto runo -. Ho vissuto questa esperienza con distacco sin dall’inizio, ho sempre avuto la coscienza a posto. Purtroppo la denuncia ha avuto per me conseguenze anche sul piano professionale, mi sono dovuto difendere da un procedimento disciplinare e ho dovuto affrontare costi notevoli. Piuttosto, vedrò se toccherà al Comune pagare le parcelle anche dei miei legali».