Spunta l’ipotesi del rottamatore grande elettore per il Quirinale
I bersaniani: lui parla come Silvio. Le replica: vedono fantasmi
IL CENTROSINISTRA
ROMA E’ un Pd scosso e agitato, quello che si appresta ad affrontare le prossime scadenze politiche. Scosso al proprio interno sotto la frusta di Matteo Renzi, che ha deciso di rottamare una intera gestione politica, quella del segretario Pier Luigi Bersani e della sua cerchia. «Qua siamo», ha sillabato il leader del Pd a chi gli ha chiesto un commento sul sindaco, due parole secche seguite da braccia che si allargano, prima di andare all’incontro con Mario Monti. Gelo totale. Ma se Bersani non si è prodigato in commenti, lo hanno fatto per lui quelli che gli lavorano a fianco giornalmente, l’ufficio stampa in toto, il portavoce, la direttrice di Youdem, la tv del partito. Tutti accomunati in un unico e duro e preciso capo di imputazione: «Renzi parla come Berlusconi». Quell’aut aut del sindaco a base di «o accordo vero e alla luce del sole con il Cavaliere oppure è meglio votare», è stato paragonato direttamente e letteralmente alla posizione più volte espressa da Silvio Berlusconi e dall’intero Popolo delle libertà. «La linea del partito è un’altra», il richiamo all’ordine di altri fedelissimi bersaniani. «Vedono solo fantasmi», ha replicato in serata il sindaco dai microfoni del Tg1.
LA SFIDA
Ma non è finita. Se il Pd e il suo segretario sono «lenti», lui Renzi, alla maniera di Celentano, si considera «rock», e ne infila a sorpresa una al giorno. Come se non bastassero l’aut aut e il picconamento a mezzo stampa con le interviste, ecco che da palazzo Vecchio trapela l’indiscrezione che il sindaco potrebbe calare a Roma come grande elettore quando si tratterà di votare per il nuovo capo dello Stato. Le teste d’uovo del sindaco sono andate a guardare bene il dettato della Carta, laddove si dice che i tre delegati per ogni Regione vengono eletti «dai consigli regionali» non quindi «nei» consigli, per cui un sindaco o un comune cittadino potrebbe essere nominato. E guarda caso, è trapelato anche che il nome del primo cittadino è già sul tavolo. Facile immaginare la scena: un Renzi in Parlamento che non solo guida e orienta i suoi oltre cinquanta parlamentari su questo o quel candidato, ma rilascia dichiarazioni, fa interviste, convoca riunioni, è punto di riferimento. Uno scenario, insomma, da due papi in Parlamento.
LA POLEMICA
Una situazione assai tesa, e siamo ancora alla vigilia della vigilia. Una situazione che scivola verso la drammatizzazione, al punto che torna a fare capolino la parola «scissione», tali e tante sono le distanze e le divergenze. Vi fa riferimento esplicito Alessandra Moretti, il volto giovane del bersanismo in tv e ora anche alla Camera, che all’ipotesi di franchi tiratori renziani al momento di votare per il Colle, risponde secca «non me lo auguro, si spaccherebbe il partito». Ma avvertimenti e minacce a parte, è il clima di incomunicabilità e di scontro che la dice lunga sulle ipotesi separatiste, che vedrebbero da una parte i seguaci della suggestione socialdemocratica di sinistra, dall’altra una “grande Margherita” con Renzi nuovo leader.
IL PARTITO
E’ stato notato il silenzio assordante che ha accompagnato le esternazioni renziane da parte di altri settori del partito che non fossero i bersaniani. A parte Beppe Fioroni, secondo il quale «sarebbe da irresponsabili far saltare un’ampia intesa per il Colle solo perché si ha l’obiettivo di votare al più presto», e a parte Saro Crocetta che dalla Sicilia avverte che «Renzi vuole sfasciare il Pd», non si registrano particolari prese di posizione pro Bersani e anti Renzi da parte di altri. Né franceschiniani, né lettiani, né veltroniani, né dalemiani, e neanche giovani turchi, si sono strappati le vesti a favore del leader. Anzi. Sul divano di una Camera semideserta Antonello Giacomelli, fedelissimo di Franceschini, fa notare che «Matteo in sostanza non ha fatto che ripetere quanto sostiene Dario circa un accordo con il Pdl, e quanto sostenuto da D’Alema in direzione». Dunque? «Secondo me Renzi ha sentito aria di accordone alle sue spalle ed è passato al contrattacco». Quanto ai veltroniani, «Renzi e Walter si sentono, e anche spesso», rivelano i seguaci dell’ex segretario democratico.
Il segretario fa asse con Monti e cerca Grillo e Berlusconi
IL RETROSCENA
ROMA Pier Luigi Bersani riparte da Mario Monti. In quasi due ore di incontro, il premier pre-incaricato-congelato e il professore hanno stretto un patto di «consultazione continua e costante». «D’ora in poi», dicono nell’entourage del premier, «Pd e Scelta civica decideranno insieme le posizioni da tenere per la scelta di un capo dello Stato che ottenga il più ampio consenso possibile». Ma nei 120 minuti di colloquio, Bersani ha soprattutto gettato il seme per il dopo-Quirinale. Ha portato dalla sua Monti (Scelta civica conta al Senato su 21, utilissimi, voti) e ha detto al professore di essere convinto di farcela. «Sono molto fiducioso, un governo del cambiamento può nascere a fine mese. Un conto è non avere i numeri prima di presentarsi alle Camere per la fiducia, un altro è averceli quando ci si va e quando il nuovo capo dello Stato potrà sciogliere le Camere».
MATTEO NEL MIRINO
Non poteva mancare, finito l’incontro e arrivato al Nazareno, un accenno a Matteo Renzi. Bersani è irritato, non aveva messo in conto l’interventismo del suo competitor. E questa «agitazione» del sindaco di Firenze, la spiega così: «Renzi si sta mostrando intempestivo a proporre ora un esecutivo Pd-Pdl. Probabilmente sbaglia perché ha paura che dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato, io ce la possa fare e che per almeno due anni lui debba restare nell’angolo. Bruciato. Forse Renzi sospetta che la Lega, quando il nuovo Presidente minaccerà di sciogliere il Parlamento e di spedire tutti a casa, si sganci da Berlusconi e ci dia i suoi voti. Chissà?!». E’ seguita una pausa, poi un sorriso: «Se Renzi vuole farsi un governo con Berlusconi, se lo faccia da solo. Ma non è questa la linea del partito».
Insomma, Bersani lega strettamente la partita per il Quirinale a quella per palazzo Chigi. E cercando «sinceramente e convintamente» un candidato che unisca», che «dia una chiara indicazione di comune corresponsabilità», non perde di vista l’obiettivo di riprovare nella roulette per il governo «senza i voti del Pdl». Ma per riprovare ha bisogno di un presidente “amico”, uno che lo spedisca alle Camere per tentare la prova delle fiducia. Quella negatagli da Giorgio Napolitano. «Ma non è il momento di parlare di nomi» ripete il segretario del Pd, «farlo adesso significa bruciarli». Questo vale per Romano Prodi, come per Massimo D’Alema, Giuliano Amato, Franco Marini. «Tanto più che il nuovo presidente», osserva Nichi Vendola, «dovrà rispettare i criteri di innovazione seguiti per l’elezione di Boldrini e Grasso».
LUNEDÌ BERLUSCONI
Nel faccia a faccia «cordiale, quasi tra amici» con Monti, è stata esclusa una volta di più l’ipotesi dello scambio chiesto da Silvio Berlusconi: il “passi” per il governo, in cambio di un presidente che lo garantisca nell’eterna battaglia con i pm. «Tutto dovrà avvenire alla luce del sole, nella massima trasparenza e chiarezza», hanno scritto in una nota il premier e il premier pre-incaricato-congelato. E Bersani ha confidato ai suoi: «Voglio incontrare Berlusconi, ma lo voglio incontrare in un campo neutro. Un nome per il Quirinale non può nascere sottobanco, ma dal confronto trasparente tra gruppi parlamentari dove porterò proposte formali». E al Nazareno c’è chi scommette che i due si vedano lunedì.
Da Bersani è poi arrivato uno stop agli «ipotetici» candidati del Pdl: Schifani, Pera, Letta e lo stesso Berlusconi. «Sono nomi che non ci possono essere fatti», ha argomentato il leader democrat, «anche perché noi, insieme al Movimento5Stelle, abbiamo la maggioranza assoluta dei grandi elettori. In quell’assemblea elettiva cose strane o improponibili non passano». In estrema sintesi: Bersani non intende accettare rose al Pdl, è convinto che la scelta del candidato spetti al Pd. «Scegliendo anche tra i moderati». Ma reggerà Bersani alle fibrillazioni che scuotono il Pd? Vendola è convinto di sì: «Come si fa a scalzare un uomo che somma su di se il ruolo di candidato premier della coalizione vincente, segretario del Pd e vincitore delle primarie? Difficile se non impossibile». Forse è ottimismo di un alleato preoccupato. Anche perché Renzi è probabile che riesca a farsi eleggere grande elettore per sbarcare a Roma nei giorni in cui si eleggerà il nuovo capo dello Stato. «Sarà qui a vigilare per impedire che scegliamo da soli un Presidente amico», scommette un bersaniano doc. Vero? Di certo c’è che molti puntano su Pietro Grasso: è “nuovo” e libererebbe la poltrona della presidenza del Senato per un montiano o per uno del Pdl.