Anche ieri tensione negli incontri per decidere le iniziative legislative. Il deputato siciliano: «Col Pd possiamo governare, senza Bersani. Nessuno ci può manovrare»
ROMA Il catino assembleare del Movimento 5 Stelle somiglia sempre più a una pentola a pressione che sbuffa, ogni giorno più forte. Salterà il tappo? Se lo chiede Beppe Grillo che leggendo i giornali (anche ieri apostrofati), ma soprattutto ascoltando le uscite pubbliche di alcuni suoi parlamentari, si dimostra molto preoccupato e oggi chiama a raccolta i suoi parlamentari. Ma già riceve uno stop dai suoi puledri parlamentari. Vorrebbe incontrare tutti in Abruzzo, fuori dalla mischia (e dallo streaming...), approfittando della partecipazione di una delegazione del Movimento alla fiaccolata dell’Aquila. Con molti malumori. «Ma perché mai, venga lui a Roma» hanno risposto in tanti sempre dietro la trincea dell’anonimato. Una trincea che però appare ogni giorno più debole. Il Movimento anche ieri è stato impegnato in ore e ore di riunioni per discutere dei 20 punti di programma e delle azioni legislative da intraprendere. Suddivisi nelle commissioni permanenti di appartenenza, i parlamentari hanno discusso di interventi su piccole-medie imprese, legge elettorale, anticorruzione, reddito di cittadinanza, abolizione dei finanziamenti ai partiti, ritiro dall’Afghanistan, taglio dell’acquisto degli F35. Un lavoro enorme, e in diretta streaming il senatore Maurizio Buccarella ha sbottato: «Vi prego, usciamo da questo incubo assembleare che ci porta a stare 10 ore al giorno riuniti... non è detto che questo sia il modo migliore di lavorare e di produrre». Dissenso? No, tutto scorre normale secondo Crimi, capogruppo al Senato: «Il clima al nostro interno è perfetto, normale che ci sia un dibattito. Non c’è nessuno scontro interno». Politichese. E allora cos’è che induce Grillo ad alzare la tensione ogni giorno e a schiacciare sul nascere qualsiasi dibattito interno, fino a fissare la riunione plenaria di oggi per arringare i suoi? Martedì sera erano in 120 (circa) a una riunione per discutere se presentare una rosa di nomi per un governo a 5 Stelle. I fautori del dialogo sono dovuti quindi uscire allo scoperto, si sono contati, e non sono pochi. 30 voti a favore, 90 contrari. Quasi tutti provenienti da Sicilia, Campania, Emilia Romagna, quelle regioni cioè che sia prima delle elezioni (l’Emilia), sia in occasione della elezione di Grasso a presidente del Senato, hanno iniziato a far sbuffare la pentola del M5S. Spaccatura? Forse no, ma il dissenso nei confronti della linea del «no a tutto» cresce. E qualcuno comincia a venire allo scoperto, come il deputato siciliano Tommaso Currò che intervistato dalla Stampa invoca un accordo con il Pd escludendo Bersani. «Non credo che siamo pronti per governare da soli, bisogna riconoscerlo, col Pd la sensibilità è comune su molti temi. Noi parlamentari non siamo automi - manda a dire a Grillo - e nemmeno bambini. Nessuno ci può svuotare della nostra personalità politica, diversamente diventiamo schiavi di un manovratore. E se poi non usi il buonsenso finisci per non stringere la mano alla Bindi, una reazione distruttiva». Apriti cielo... Currò ha postato l’intervista sul profilo Facebook, per niente pentito. Ricevendo gli insulti di chi scimmiotta Grillo, ma anche tanti apprezzamenti. E non è solo il caso Currò a togliere il sonno a Grillo, che ieri per sfogarsi ha dato dei «corrotti» ai giornalisti. Ci sono le strane dimissioni della senatrice Giovanna Mangili, respinte. C’è l’uscita pubblica su Repubblica della deputata imolese Mara Mucci, una dei 30, che vuole iniziare a lavorare e a mettere qualche «no» da parte. Insomma, forse ora è Grillo che si sente un po’ accerchiato. E oggi cercherà di rimettere tutti in riga.