L’AQUILA Sfila, in silenzio, il dolore dell’Aquila. Ha i volti tirati di chi ha perso figli, fratelli, amici e la rabbia di una città che ogni anno, il 6 aprile, si accorge di aver perso un briciolo di speranza. È la notte della fiaccolata, che parte alle 22.21 in uno scenario emblematico della situazione, stretta tra i palazzoni di via XX settembre che ancora portano evidenti le ferite del disastro e il tribunale quasi ricostruito. Dovrebbe essere solo la notte del dolore, della memoria, del ricordo. E invece è anche la notte della rabbia e, forse, della rassegnazione. Arriva il sindaco Massimo Cialente e dice che «questo è l’anno peggiore». «Serpeggiano scoramento, disillusione e grande preoccupazione - dice -. È un bivio: da un lato abbiamo creato le condizioni per far ripartire la ricostruzione, dall’altro proprio perché abbiamo misurato tempi e ritmi ci siamo resi conto che non ci sono soldi a partire da agosto di quest’anno». Il sindaco rivela un lungo colloquio avuto con Monti in serata: «Ci risentiremo a giorni, lui si incontrerà con Grilli e Barca, gli ho spiegato che senza questi soldi L’Aquila non ce la farà». A pochi passi c’è anche Barca, con l’immancabile sciarpa rossa. «Questo è l’anno peggiore? No, il peggiore è stato il 2011, un anno drammatico, di conflitto interno alla città, di paralisi, di blocco. Il 2012 è stato l’anno della svolta. Sono qui stasera e provo una sensazione di maggiore serenità perché credo in questo anno di avere capito meglio i problemi. Oggi grazie al superamento del commissariamento ho la sensazione che i presupposti per la svolta ci siano tutti. Gli aquilani devono essere orgogliosi di ciò che hanno fatto i loro rappresentanti, guardare con serenità agli altri 59 milioni di italiani e dire loro “noi stiamo realizzando la ricostruzione, abbiamo dimostrato di sapere usare i fondi, per completarla abbiamo bisogno di sette miliardi, è ovvio che ce li darete”». Qualcuno, nel buio della notte rischiarato solo dalle fiaccole, mugugna. «Di cosa dovremmo essere orgogliosi?». Per le polemiche, però, non c’è spazio stanotte.
Il cuore sussulta alla vista delle immagini dei ragazzi che hanno perso la vita alla Casa dello Studente. Le lacrime solcano con facilità tanti volti. Qualcuno trattiene a stento i singhiozzi. È vero, forse non c’è la folla che ci si aspettava, ma chi è qui è perché non ha dimenticato. E soffre. I familiari di quei ragazzi parlano a fatica. Per loro, questo, è un triste rituale, ormai. Il padre di Luca Lunari, Roberto, torna sulla sentenza della Casa dello Studente, dove è morto suo figlio: «È stata applicata la legge, la giustizia non è questa». Per lui, come per gli altri, il dolore è ancora vivo: «Ormai questa per noi è una tradizione, un obbligo. Si ritrovano le persone che condividono le stesse sensazioni». I familiari di Francesco Esposito si schermiscono. Una zia riesce solo a dire «è terribile». Il corteo si muove lento. Aperto dal solito striscione: «Per loro, per tutti. I familiari delle vittime». Ce n’è anche un altro, che fa davvero male: «È triste leggere negli occhi di mamma e papà la certezza che neanche stasera tornerò a casa». Con le immagini di tanti, troppi, volti giovani. E poi ci sono gli striscioni della strage di Viareggio e di quella della Thyssen. La mamma di Luca Lunari sospira a ogni sillaba: «Avere tanta gente intorno mi dà la forza di andare avanti». L’Aquila non dimentica. Soffre e va avanti. Ricostruire significa anche onorare il ricordo di chi oggi non c’è più.