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Pescara, 18/12/2025
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Data: 18/04/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Bersani lancia l’intesa su Marini per il Quirinale. Ma il Pd si spacca. Elezione sul filo dei numeri. Vendola con i grillini: votiamo Rodotà.

ROMA Trattative vere o presunte, vertici ammessi e poi smentiti, girandola di nomi di papabili, la giornata che ha preceduto l’inizio delle votazioni di oggi per il nuovo capo dello Stato ha avuto uno svolgimento frenetico, denso di colpi di scena e di scossoni che hanno fatto cadere dall’albero ad una ad una tutte le candidature al Colle meno una: quella di Franco Marini.
I due principali kingmaker, Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi, si sono tenuti a lungo in contatto e forse si sono pure incontrati in segreto. Il Cavaliere avrebbe visto i personaggi rimasti in corsa fino all’ultimo e cioè Giuliano Amato, che fino alla mattinata di ieri appariva in pole position, Massimo D’Alema e lo stesso Marini. Nessun approccio, invece, con Stefano Rodotà, diventato il candidato del M5S dopo le rinunce di Milena Gabanelli e Gino Strada che lo avevano preceduto nelle ”quirinarie“ dei grillini. L’ex garante per la privacy, tuttavia, sembra aver sedotto Nichi Vendola e i grandi elettori di Sel assieme ad alcuni esponenti del Pd, aprendo così una spaccatura tra i democrat che si sarebbe approfondita quando è apparso chiaro che Pd, Pdl e montiani avevano raggiunto l’accordo sulla candidatura dell’ex presidente del Senato.
I primi a chiamarsi fuori dalla maggioranza per Marini sono stati i seguaci di Matteo Renzi. Ai quello dei renziani si aggiungeva il no di alcuni parlamentari prodiani, assieme ad altre manifestazione di dissenso nel Pd. In serata, comunque, era un Pier Luigi Bersani, visibilmente soddisfatto, ad annunciare che erano maturate «le condizioni per una scelta condivisa», che avrebbe poi comunicato all’assemblea dei grandi elettori del Pd, sottolineando che il nome di Marini era l’unico tra quelli provenienti dalla ex Dc a essere gradito a Berlusconi dopo che erano caduti per ragioni diverse quelli di Amato e D’Alema. Quasi contemporaneamente Silvio Berlusconi confermava con ampi segni della testa, prima di entrare alla riunione dei gruppi Pdl, il via libera degli azzurri alla candidatura Marini.
STRADA INSIDIOSA
Tutt’altro che priva di insidie, resta però la strada che potrebbe portare già da oggi l’ex segretario della Cisl al Quirinale. La sua elezione, almeno al primo scrutinio, si concluderà sul filo di lana. A Marini infatti saranno necessari al primo turno 672 voti. Centrosinistra e centrodestra messi insieme e senza defezioni ne assicurerebbero 842, ma tolta la cinquantina di renziani che non lo voteranno assieme ai 45 di Sel, che sceglieranno Rodotà, e alla Lega che, pur non precludendosi una successiva convergenza su Marini, si orienterà oggi su Manuela Dal Lago, e non essendo ancora certo e quantificabile l’orientamento di Scelta Civica, al cui interno si nutrono notevoli riserve sul suo nome - un decisione finale sarà presa solo nella mattinata di oggi - i voti certi per l’ex sindacalista non superano di molto quota 700. Con un margine di sicurezza di meno di 30, tutt’altro che rassicurante a fronte del voto segreto con cui i grandi elettori si esprimeranno.
Sul fronte opposto Grillo spinge la candidatura di Stefano Rodotà, sostenta anche da un massiccio ”mail bombing“ diretto a tutte le caselle di posta elettronica di tutti i parlamentari, che ha infastidito non poco alcuni esponenti democrat che hanno parlato di harassment politico. L’ex comico genovese ha affermato sul suo blog che il Pd «proponendo, d’accordo con Berlusconi, la candidatura di Marini, consegna l’Italia alla dissoluzione, non solo economica ma anche come Stato unitario».
La situazione, decisamente poco rassicurante, viene commentata così da Pier Ferdinando Casini: «C’era da aspettarselo, come ad ogni elezione del presidente della Repubblica, all’ultimo momento entrano in azione i sabotatori. Ma sia chiaro a tutti - aggiunge il leader centrista - che dopo due mesi di paralisi governativa, se non si trova un’intesa su un presidente largamente condiviso si va dritti alle urne».

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