Il sindaco di Firenze all’attacco: «Dispetto al Paese, è nome dell’altro secolo» Dubbi e disagio anche nella sinistra del partito. Sel abbandona e sceglie Rodotà
ROMA Renziani sul piede di guerra sulla scelta di Franco Marini per il Quirinale. «Non lo votiamo, votare Marini è un dispetto al Paese», avverte il sindaco di Firenze che già nei giorni scorsi aveva attaccato pubblicamente sia Marini che Anna Finocchiaro. Ma la corsa dell’ex presidente del Senato per la successione di Giorgio Napolitano è vista con sospetto anche dell’ala sinistra dei democrat e di Sel che avrebbero sostenuto volentieri il candidato dei 5 Stelle: Stefano Rodotà. E che ora teme che dietro la candidatura condivisa di Marini con Berlusconi, Lega e Scelta civica, si nasconda l’insidia maggiore: «Il governo dell’inciucio». Poco prima delle 23 si conclude con 222 voti favorevoli, 90 contrari e 30 astenuti la votazione dell’assemblea del Pd sulla candidatura dell’ex presidente del Senato. Sinistra e libertà, con alcuni renziani, non partecipa al voto e abbandona la riunione: «Nulla contro Marini – dice il segretario Nichi Vendola lasciando l’incontro – ma sarebbe la fine del centrosinistra e un’operazione di restaurazione». Alle prime ore di oggi Sel deciderà se votare fin dal primo turno Rodotà. Dopo che per tutta la giornata tanto fonti del Pd che fonti del Pdl danno ormai per certa la quadratura del cerchio intorno al nome di Marini è pomeriggio avanzato quando arriva la «sorpresa». Pier Luigi Bersani convoca la riunione dei gruppi parlamentari, rinviata di ora in ora, per comunicare quale sarà la strategia del Pd a partire dalla prima votazione per l’elezione del presidente, fissata per stamattina alle 10. E ai giornalisti che lo incalzano chiedendogli se davvero è Marini il futuro presidente risponde: «Sarà una bella sorpresa». «Bersani ci ha abituato alle sorprese, come nel caso della nomina dei presidente di Camera e Senato, può darsi che abbia già cambiato idea», commenta Rosy Bindi. Il temuto e auspicato colpo di scena però non c’è. Almeno per ora, perché nel segreto dell’urna bisognerà vedere quanti voti raccoglierà davvero Marini nel centrosinistra. Quella di Bersani è solo una battuta. «Avanzo la candidatura di Franco Marini, ha un profilo adatto per maggiore convergenza» dice il segretario a parlamentari e grandi elettori. Poi, cercando di bloccare imboscate e franchi tiratori che potrebbero impallinare il cofondatore del Pd, richiama i suoi all’ordine. «Serve un’assunzione di responsabilità, attenzione al passaggio che abbiamo davanti», e comunque «la discussione sul presidente è separata dal governo». I malumori nel Pd e in tutto il centrosinistra sono questa volta trasversali. E, ironia della sorte, potrebbero portare a un’asse tra i renziani, gli uomini più vicini a Massimo D’Alema e l’ala sinistra. Alla vigilia del voto sono in pochi a uscire allo scoperto. «Non solo i renziani non lo voteranno», twitta Marianna Madia. «Non voterò mai Franco Marini», rincara Sandra Zampa, molto vicina a Romano Prodi. «Il gruppo dirigente non mi ha convinto», dice Walter Tocci parlando all’assemblea dei parlamentari di Pd e Sel. Davanti al cinema Capranica arriva anche un gruppo di militanti che protesa contro la scelta di Marini. «Se non votate Rodotà non vi rivotiamo», recita un cartello. «Ho votato Pd, ma se va avanti così rischio di diventare un ex elettore», aggiunge una signora. E in serata arrivano le bordate di Renzi. Che lancia un appello a tutti i parlamentari perché escano allo scoperto. «Non saranno solo 50-60 renziani a non votare Marini: credo che molte persone non vogliano votarlo e gli chiedo di essere sinceri. Non bisogna chiamarli franchi tiratori perché devono avere il coraggio di alzarsi, non facciano il trucchetto di andare lì e scrivere un altro nome: trasparenza è avere coraggio», avverte Renzi. La confusione è regnata sovrana per tutta la giornata tra contatti frenetici tra Bersani, Berlusconi ma anche con gli altri attori politici. Perché, ripetevano come un mantra a via del Nazareno, l’intesa non è a due ma deve essere la più larga possibile. E il primo petalo, Giuliano Amato, è caduto nel corso della giornata. A quel punto due erano le possibilità, su cui si è ragionato a lungo dentro il Pd e il Pdl: o si andava avanti comunque, sfidando nei primi due scrutini i franchi tiratori, e cambiando cavallo - il nome che più girava era Massimo D’Alema - alla terza chiama in caso di bocciatura di Amato.