«Noi ci stiamo, ma non so se il Pd regge e se domani avranno lo stesso segretario». Il timore notturno di Silvio Berlusconi si concretizza a tarda sera.
Nello stesso momento nel quale i gruppi del Pdl sono riuniti per decidere se e come convergere su Franco Marini. L’eco del dibattito interno al Pd è fortissimo e quando il Cavaliere rientra da Campo Marzio a palazzo Grazioli sa di essersi perso già la Lega e i Fratelli d’Italia che su Marini arriverebbero alla prima votazione solo se il Pd dimostra, prima della chiama, di aver ricucito le divisioni interne. «Se voi vi spaccate noi non veniamo a soccorrervi», aveva spiegato ieri pomeriggio Roberto Maroni a Nicky Vendola. Tensioni che spaccano il Pd e lasciano più o meno indifferente il Cavaliere che se non incassa Marini, si potrebbe consolare con la testa di Bersani e forse anche quella si Renzi.
ANTI RENZI
«Devi garantirmi che lo eleggiamo nelle prime tre votazioni, altrimenti salta tutto e finiamo nelle mani dei grillini». Silvio Berlusconi, in compagnia di Gianni Letta inizia di prima mattina il tour per stringere definitivamente l’intesa per il Quirinale. L’ambasciatore del Cavaliere è stato più volte a palazzo Giustiniani per incontrare Franco Marini, ma la preoccupazione di ieri del Cavaliere è anche quella di spiegare a Giuliano Amato il tramonto della sua candidatura. L’incontro con Bersani dura più di un’ora e quando Berlusconi poco prima dell’ora di pranzo rientra a palazzo Grazioli, l’accordo è fatto anche sul possibile governo di scopo che dovrebbe durare il tempo necessario per affrontare la crisi economica e rivedere la legge elettorale. A Bersani il Cavaliere concede il pomeriggio per lavorare sui gruppi e sui molti leader del Pd ai quali il segretario spiega di persona e per telefono come intende convincere tutti i grandi elettori del centrosinistra su una scelta che rischia di apparire meno innovativa di quanto non sia stata la scelta di Boldrini e Grasso. Anche se Berlusconi ha rassicurato il segretario del Pd sulla fedeltà del Carroccio, i numeri ballano per tutto il pomeriggio vista la netta contrarietà di Vendola a dare il suo sì ad un candidato che «ci porta diritto alle larghe intese». A pranzo il Cavaliere incontra Alfano. Anche se nel Pdl in molti rimpiangono Amato e altri sperano in D’Alema, il timore di ritrovarsi alla quarta votazione con Romano Prodi spinge tutti a convergere sul presidente del Senato. Difficile però non ipotizzare un gruppo di franchi tiratori anche nel Pdl dove c’è una corposa pattuglia di ex socialisti che sino a ieri mattina aveva sperato nella candidatura di Amato. Il dottor Sottile è una furia «per come è stato usato il mio nome e la mia storia», e lo racconta a più di un interlocutore.
IL CAOS
I problemi più grossi deve però affrontarli Pier Luigi Bersani che a largo del Nazareno incontra prima Enrico Letta poi Dario Franceschini e Vendola. Ai due ex Margherita chiede di lavorare sulla cinquantina di renziani che, prima di schierarsi con il sindaco di Firenze, erano in molti vicini alle posizioni di Marini. Ai capigruppo Speranza e Zanda viene affidato un primo giro di ricognizione che però inizia quando il nome dell’ex presidente del Senato è già sulla bocca di tutti e provoca già i primi mal di pancia. «Dobbiamo cercare di eleggere un nome nelle prime tre votazioni, altrimenti poi cambia la partita - spiega Nico Stumpo, deputato del Pd molto vicino al segretario - e comunque per il governo si vedrà». Malgrado Bersani abbia sempre tentato di tenere separate le due questioni, il destino della legislatura e la formazione di un governo a guida Bersani e con tutti ministri tecnici, sembra essere una delle promesse che il Cavaliere ha fatto al segretario del Pd.
GOVERNO
Il partito è però in subbuglio, sul piede di guerra non ci sono però solo i renziani, che nel pomeriggio si sono riuniti, ma anche i giovani Turchi e i prodiani Zampa e Gozi. Solo alle sette di sera Bersani fa sapere a Berlusconi che è pronto ad ufficializzare la scelta ai gruppi. Altrettanto fa Berlusconi che però ha molte meno difficoltà del segretario del Pd. «Se portiamo a casa un presidente di garanzia, bene. Altrimenti si facciano pure quello che vogliono, si va ad elezioni e con questa sinistra non ce la fa nemmeno Renzi», chiosa il Cavaliere che pensa oggi di potersi levare in un colpo solo sia Bersani che Renzi riuscendo magari ad ottenere che al Quirinale vada quel Massimo D’Alema con i soli voti del centrosinistra alla quarta votazione. Nella notte si susseguono gli incontri e le telefonate, ma a Bersani interessa soprattutto recuperare il rapporto con Sel che rischia di saltare non solo oggi, ma anche in chiave governo rischiando di terremotare non solo la segreteria del Pd ma anche il partito.
Berlusconi: deve votarlo pure la Lega
Giornata di trattative, con la riunione dei parlamentari
del Pdl che viene rinviata di ora in ora. A sera l’annuncio
Il Cavaliere soddisfatto zittisce chi avrebbe voluto altri nomi
«E’ la soluzione migliore che potessimo trovare in questa fase»
ROMA E, alla fine, entrando alla riunione dei gruppi parlamentari del Pdl, Silvio Berlusconi annuì: «Sì, Marini è un buon nome, per il Colle». «La soluzione migliore che in questo momento potessimo ottenere. E ala fine lo voterà anche la Lega, deve», il concetto espresso dal Cav ai suoi che lo ascoltano in religioso silenzio. Poi si tuffa nei ricordi: «Nel 2008, quando cadde Prodi, Marini si è comportato in modo leale e corretto». Poi però avverte: «Attenzione, non è detto che vada bene al primo voto. Bisogna votare compatti e non fare mancare un voto». La raccomandazione del Cav è forte e pressante al punto che raccomanda ai suoi, ricordando proprio il precedente del 2008: «Mi raccomando, scrivete Franco, non Francesco…».
IL PARTITO DEGLI EX DC
Il «partito» di Franco Marini è sempre stato forte, presente e vigile, ancorché discreto, dentro il Pdl. E oggi starebbe per vincere. L’ex ministro dc Gianfranco Rotondi ne era e ne è il capofila. Ieri pomeriggio, in Transatlantico, gongolava di gusto. Oggi si vedrà, ma una cosa è certa: dentro il partito di Berlusconi era altrettanto forte il partito di Massimo D’Alema (l’ex viceministro Annamaria Bernini, per dire, ieri lo sponsorizzava on air) mentre il «partito» pro-Giuliano Amato poteva contare sul Cavaliere medesimo. Ma se su Amato, Berlusconi ha capito che il Pd ballava troppo, su Marini ha avuto garanzie ed ha anche la certezza che la Lega voterà per l’ex leader cislino, che Maroni ha sempre apprezzato. La giornata è stata lunga e frenetica anche per il Pdl: molti onorevoli azzurri brancolavano nel buio. Berlusconi, infatti, ha riunito per diverse volte, a palazzo Grazioli, la sua war room: il segretario del Pdl, Angelino Alfano, Denis Verdini, Gianni Letta.
IL REGISTA
Ed è stato proprio Letta il vero regista dell’operazione, concordata con Bersani, che ha portato a scegliere Marini. Gli altri organismi ufficiali slittano tutti, e più volte: l’ufficio di Presidenza, inizialmente convocato per le 11 e poi per le 15.30, sparisce, risucchiato dalla convocazione dei gruppi parlamentari che, prevista per le 18 del pomeriggio, si materializza alle 21 di sera. Riunioni sconvocate per permettere a Berlusconi di sgattaiolare fuori da palazzo Grazioli ed assentarsi per tre ore in cui esce da tutti i radar. Si dice abbia visto direttamente Bersani, in compagnia di Letta, poi si derubrica il rendez-vous a più banali telefonate molte, ripetute e fattive. A metà pomeriggio, spunta il nome di un altro ex-dc, Sergio Mattarella, ma incontra l’ostilità del Pdl («farebbero prima a proporci la Boccassini»). «Se dev’essere un ex dc che sia Marini, di lui mi fido», avrebbe detto il Cav ai suoi. Sorprese dell’ultima ora non sono escluse, ma ora la palla è nel campo del Pd. «Se Bersani non è in grado di tenere fede ai patti sottoscritti con lui sarebbe impossibile ogni intesa», sibila un azzurro di rango. E se i franchi tiratori (del Pd) dovessero impallinare Marini? Al Pdl fanno capire di essere pronti a convergere sull’antico amore, D’Alema. Tutto, qualsiasi cosa, cioè, purché non si saldi, dal IV scrutinio in poi, un asse Pd-M5S su Prodi.